23.Quello che voglio

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KATHLYN
New York, 08 dicembre

SETTE GIORNI. CENTOSESSANTOTTO ORE.
Mi ero barricata in casa, al rifugio nel mio nuovo piccolo bozzolo.
Avevo ignorato tutte le telefonate, rispondendo solo al numero di Lexie e dell'avvocato.

Dug era diventato il mio migliore amico; aveva assaggiato ogni pietanza che mi ero sforzata di cucinare, aveva divorato in mia compagnia intere serie tv e mi aveva perfino obbligata a giocare con lui.
Avevo passato ore intere a correre dietro un cane, nascondendo e tirando gli ultimi brandelli di una vecchia casacca di basket.

Nonostante tutto però, mi ero limitata ad esistere, rimuginando su ciò che avrei dovuto affrontare nelle settimane successive.

Durante il giorno, lontana dal caldo abbraccio di Evan o da tutto ciò che ero sempre stata abituata a fare, mi sentivo persa.
Le ore passavano senza che potessi controllarle e i pensieri diventavano sempre più intrusivi.

È ora di crescere Kathlyn.
È arrivato il momento di intraprendere la giusta strada.

Secondo Evan, prendermi del tempo per leccarmi le ferite era più che lecito.
Quando rientrava la sera, carico dal borsone sportivo e con i muscoli doloranti, si chinava ad accarezzare Dug, cercandomi poi in giro per la casa con la fretta di rubarmi un bacio.

Mi aveva regalato sorrisi, carezze e abbracci, restando sempre al mio fianco.

"Dimmi cosa devo fare" avrei solo voluto dirgli, obbligandolo a prendere per me la fatidica scelta. Sapevo che non era giusto e il fatto che ne fosse a conoscenza anche lui, lo rendeva solo più perfetto ai miei occhi.

Dovevamo ancora parlare seriamente e la cosa mi spaventava a morte. Ci eravamo rinchiusi in una bolla tutta nostra, fatta di baci e notti di passione, ben lontana però da tutto quello che presto la realtà ci avrebbe sbattuto davanti agli occhi.

Le nostre famiglie. Le nostre carriere. L'opinione altrui.

Mai come allora mi ero sentita rinchiusa in una campana di vetro.
Al sicuro da tutto ma solo finché le crepe non avessero fatto collassare la montatura.

«Cazzo, cazzo, cazzo!»

Sobbalzai, osservando Lexie al mio fianco.
Eravamo sedute sul divano dell'appartamento di Evan, accarezzavo pigramente la testa di Dug mentre Lexie divorava con lo sguardo la partita di basket in corso.

Brooklyn Nets verso i Boston Celtics.
Evan era sceso in campo con il suo splendente ventidue sulla schiena, aveva giocato con una grinta sorprendente e non aveva calcolato di striscio le domande pungenti dei giornalisti.

Guardarlo solo da uno schermo mi faceva uno strano effetto, avrei voluto essere in prima fila con Nola a tifare per il mio ragazzo.

Allo scoccare del quindicesimo minuto di gioco la palla entrò nel canestro grazie ad Alec e i ragazzi lo assalirono per festeggiare insieme.
Mancava solo un ultimo tempo ma il punteggio prometteva dannatamente bene.

La pubblicità di una bibita energetica comparve sullo schermo e finalmente Lexie riprese a respirare.
Si girò nella mia direzione con un sorriso smagliante in volto per poi accarezzare la testa di Dug ancora appoggiata alle mie gambe.

«Non vedo l'ora di raccontare ai miei figli questa giornata! Sono seduta sul divano di Evan Walker a guardare la sua televisione e a bere da un suo bicchiere»

Risi di gusto, rannicchiandomi sotto la calda coperta.

«E c'ha anche pagato la cena. Mi ha scritto prima dell'inizio partita per avvisarmi di ordinare tutto quello che vogliamo, offre lui»

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