25.Qualcun altro

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KATHLYN
New York, 09 dicembre

«PUÒ FERMARSI QUI, GRAZIE» L'autista rallentò la corsa, accostando l'auto proprio difronte il palazzo nella quale abitava Alec.

Avevo seguito le sue indicazioni, evitando di portare Evan nel suo appartamento.
Dopo le dichiarazioni rilasciate, una calca di giornalisti si era appostata all'entrata, attendendo eccitati il suo arrivo.

Se fosse stato beccato in quelle condizioni la sua reputazione e la sua carriera si sarebbero definitivamente concluse.
Non avrebbe avuto più tregua e tanto meno il coraggio di rialzarsi.
Lo conoscevo da poco tempo ma sapevo che l'immagine che mostrava al mondo non corrispondeva affatto a ciò che realmente pensasse di sé.

Evan non voleva deludere le altre persone perché la sua delusione più grande restava lui stesso.

Gli accarezzai il capo, immergendo una volta ancora le dita tra i capelli castani.
Il suo braccio mi circondava le gambe e il suo naso di tanto in tanto strofinava contro la delicata stoffa dei miei leggings.

L'amore che provavo per lui faceva quasi male. Una sensazione mai provata prima; come se il cuore mi scoppiasse di gioia in sua presenza e il dolore che Evan provava fosse anche il mio.

Ero incazzata? All'inizio si.
Ero delusa? Un po'.
Ero preoccupata? Da morire.

Non mi aveva scritto nulla dopo un passo così importante nella sua vita.
Mi aveva tagliata fuori.

Quando era arrivata la telefonata di Alec mi ero sentita solo una piccola macchiolina nella vita di Evan.
Aveva preferito uscire con gli amici -non che ci fosse nulla di male- e imbottirsi di alcol -questo sì che non andava bene- piuttosto che parlare con me o semplicemente affrontare una situazione molto più grande di lui.

Quella sera ero riuscita a mangiare la mia prima pizza dopo quasi dieci anni, mi ero sentita potente, rinata.
Prima di crollare per la stanchezza avevo tentato di resistere al solo scopo di vederlo tornare e poterglielo dire.

Volevo che mi guardasse negli occhi e che fosse fiero di me.

Non era successo. Anzi, ero seduta sui sedili posteriori di un Uber mentre tenevo stretta un uomo forse più incasinato di me.

«Smettila con questa farsa da bambina capricciosa e apri gli occhi. Finirai nella merda insieme a lui e quando accadrà noi non saremo più qui ad aiutarti»
Le parole di Madison mi tornarono alla mente come un fulmine a ciel sereno, chiusi gli occhi di scatto prendendo un respiro profondo.

Non ora.
Questa sera non sei tu la protagonista.

«Quanto vuole per aiutarmi a portarlo dentro casa?»

L'autista mi fissò annoiato dallo specchietto retrovisore, attendendo prima di concedermi una risposta.

«Cinquanta»

Tastai la tasca posteriore dei jeans di Evan, estraendone un classico portafoglio in pelle nera.

«Le posso offrire cento dollari»

«Perché no» rise, aprendo la portiera con una velocità disarmante.

Evan si svegliò quando venne goffamente strattonato fuori dalla vettura. Borbottò qualcosa di incomprensibile ma la maggior parte dei passi riuscii a compierli in autonomia.

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