40.Manhattan

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KATHLYN
Dallas, 24 giugno

NOVE MESI DOPO...

NERO E BLU.
Due facce della stessa medaglia pronte a sfidarsi per l'ultima volta sul campo da gioco dell'American Airlines Center.

L'aria che si respirava era elettrica, carica di tensione e agitazione.
Le urla dei tifosi rimbombavano tra le pareti dell'arena, mentre i fari regalavano uno sgargiante spettacolo di luci.

Le mascot erano già al centro delle riprese.
Le cheerleader sorridenti e luminose come angeli.

Quella sera una sola squadra avrebbe portato a casa il titolo di campionessa nella National Basketball Association e tutto lo stato di New York confidava nei suoi ragazzi.

Ragazzi guidati dal mio uomo.

Non mi ero potuta sedere in prima fila, ma dal mio seggiolino potevo comunque intravedere l'espressione concentrata di Evan.

Il tempo stava scorrendo velocemente e pochi minuti avrebbero potuto ribaltare le sorti dell'intera partita.

La fascia colorata diversificava Evan da tutti i suoi compagni e quando si girò, mi scontrai con il numero ventidue stampato sulla sua schiena.
D'istinto mi portai la mano al collo.
Il ciondolo era ancora lì e con tutte le mie speranze, lo strinsi forte tra le dita.

«Ce la faranno»
Nora mi strinse la mano libera, lanciando uno sguardo al marito.

Nonostante non giocassero più per i Nets, Simon, Dave e Knight avevano comunque voluto essere presenti in carne ed ossa per la squadra che gli aveva visti crescere.

Luke, Alec ed Evan erano come fratelli e in un momento così delicato non avrebbero mai pensato di lasciarli soli.

«Ovviamente»
Simon fissò entrambe, cercando di calmarci con un sorriso tirato ed estremamente finto.
Era più in ansia lui che tutte noi, peccato fosse convinto che nessuno se ne fosse accorto.

Alla mia sinistra era seduta Victoria, che con la divisa del figlio addosso aveva preso per la prima volta un aereo solo per essere presente.

Strinsi la mano anche a lei, venendo ricambiata con un sorriso dolcissimo.

«Mi ricordo ancora quando uscivo a sera tardi solo per portargli la cena al campo. Dovevo guidare circa dieci minuti per raggiungerlo e la maggior parte delle volte si rifiutava di cenare perché doveva allenarsi»

«Non gliel'hai mai impedito»

«No»

«E guarda dov'è ora»

Scorsi i suoi occhi lucidi, ma preferii non dire nulla.
Non era tristezza o nostalgia, era solo orgoglio e amore materno.

Le urla e le grida aumentarono quando Alec schiacciò la palla a canestro.
Tutti si alzarono per applaudire ma i suoi occhi corsero nella direzione delle cheerleader.

Venne travolto dai compagni e incoraggiato ulteriormente da Evan.

Sentivo io stessa il fuoco nelle vene. Faticavo a starmene seduta.
Il cuore mi martellava nel petto, esigendo di uscire dalla gabbia toracica.

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