29.Sono solo affari

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KATHLYN
Vancouver, 25 dicembre

«ANDRÀ TUTTO BENE» chiusi gli occhi, inspirando il profumo di Evan come se fosse un'ancora di salvezza.

Il mio corpo era avvolto nel cappotto che gli avevo abilmente rubato prima che uscisse dalla doccia.
Non era come averlo lì con me, ma mi sarei accontentata.

«Non so perché ho detto di sì»

Le porte del grande hotel alle mie spalle si aprirono contro la spinta del valletto.
Mi spostai a destra per permettere alla coppia di uscire, ma essi non si accorsero nemmeno della mia presenza.

Brandon mi aveva chiamata la mattina stessa, aveva saputo che mi trovavo a Vancouver e senza troppi giri di parole mi aveva invitata a cena con la scusa di parlare del mio contratto.
Contratto fantasma avrei voluto dire, dato che mi ero rifiutata di firmare per Demoiselle.

L'azienda non era della sua famiglia, ma comunque ne possedeva una quota più che abbondante.
Il solo fatto che lui avesse avuto il diritto di parola mi aveva spinta a dire di no.
Non ci avevo nemmeno riflettuto; Brandon non avrebbe mai più dovuto pronunciare il mio nome, figurarsi prendere decisioni lavorative per il mio futuro.

Nell'invito era stato compreso anche Evan, ma io mi ero rifiutata di dirglielo.
Avrei affrontato la questione una volta per tutte e per farlo avrei dovuto essere da sola.
Lo dovevo a me stessa.

Dieci minuti e un paio di dita congelate dopo, un auto nera in perfette condizioni si appostò all'entrata dell'hotel.
Dalla sinistra scese Brendon, elegante ed incravattato come ogni singolo giorno della sua vita.
Aggirò l'auto, lasciò le chiavi al dipendente e poi si girò verso di me.

«Cazzo» imprecai d'istinto, obbligando i miei piedi a muoversi nella sua direzione.
Quando i suoi occhi furono su di me, un sorriso sincero gli illuminò il volto.

«Sei così bella, Lilly» tentò di posare due baci sulle mie guance ma io mi ritirai prima che potesse anche solo illudersi di ciò.
«Mi sei mancata»

«Entriamo. Nessuno ti ha detto che non si dovrebbe mai far aspettare una donna?»

Gli diedi le spalle, incamminandomi alla velocità nella luce dentro il locale.
Brendon tentò di posare la mano sulla mia schiena ma io mi ritirai all'istante.

«Sei qui da sola?»

«Si, problemi?»

«Domandavo. Hai finalmente trovato casa al randagio?»

«Se quel randagio ti piscia addosso, ti lava Brendon»

«Così volgare»

«Così patetico»

Prima di rifilare ad Evan la bugia della cena solo padre e figlia, eravamo tutti riuniti nel salone della baita per festeggiare il giorno di Natale.
Nola aveva improvvisato il gioco dei mimi e da allora la tensione nella sala era cresciuta a dismisura.

Perfino un semplice gioco come quello era diventato una competizione all'ultimo sangue.

Evan, indossando il bruttissimo maglione di Natale regalatogli dalla squadra, si era seduto sul divano ad angolo e dopo aver disteso il braccio sullo schienale aveva aspettato perché io mi accoccolassi a lui.
Avevo riso a crepapelle per più di un'ora, sentendomi finalmente nel posto giusto.

Dovevo starmene lì.

«Coraggioso a lasciarti cenare con il tuo ex»

«Non tradirei mai l'uomo che amo. Lui lo sa»

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