03.Analcolico

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KATHLYN
New York, 30 ottobre

LE MIE GUANCE SAREBBERO andate a fuoco se avessi passato anche un solo secondo in più dentro quella stanza.
Faceva caldo. La schiena sudava e le gambe tremavano.

E tutto per cosa, esattamente?
Il riscaldamento impostato a quaranta gradi? No.

I suoi bellissimi occhi verdi?
Il suo sorriso?
I capelli estremamente corti ma disordinati?
Il viso rilassato e l'espressione impertinente?

Si. Molto probabilmente si.

Evan Walker, numero ventidue dei Brooklyn Nets, mi stava divorando con lo sguardo e io non ricordavo più come respirare.

Quella dannata partita doveva essere una via di fuga, una presa in giro. Doveva essere tutto, eccetto quello che stava per accadere.

Quaranta minuti a fissare le sue braccia muscolose e il suo corpo tonico correre avanti e indietro per il campo erano bastati a mandarmi in tilt.
Quaranta minuti ad ammirare quei lineamenti scolpiti e delineati.
Quaranta minuti ad ossessionarmi del suo stramaledetto sorriso.

Come una ragazzina delle scuole medie mi ero ritornata a divorare i suoi social, arrossendo perfino davanti le foto senza maglietta.
Lexie aveva ragione; tutto quello che si poteva desiderare nella vita era sempre stato dentro quello stadio.

I capelli castano chiaro portati  estremamente corti, quasi a spazzola, mascella affilata con una pelle liscia e leggermente abbronzata.
Occhi verdi come le foreste più fitte,
due pozze smeraldine dal taglio divertito, rilassato e penetrante.

In quel momento Evan Walker era a pochi centimetri da me, seduto comodamente su un divano in pelle nero e stretto all'interno di una felpa morbida del medesimo colore.

Come se quell'indumento avesse potuto anche solo mascherare il corpo da sogno che si ritrovava.
Le sue dannate spalle, i bicipiti e le gambe muscolose.
La divisa sportiva gli donava un'aria così dannatamente sexy. Primitiva, mascolina.

In quel momento stava fissando me.
Guardava le mie esili spalle scoperte, accarezzava i miei lunghi capelli biondi ricaderci sopra e scrutava ingenuamente la scollatura del top indossato.

Presi vita. Ogni centimetro del mio corpo si riscaldò.

«Kat, facciamo la foto?»

Solo quando Lexie mi toccò il braccio ritornai con i piedi per terra.
La gente intorno a me riprese a muoversi e le voci iniziarono a intensificarsi.
Dovetti sbattere le palpebre un paio di volte prima di riuscire effettivamente ad annuirle.

Anastasia prese tra le mani il cellulare di Lexie, attenendo che ci mettessimo in posa.
La mia amica si precipitò tra le braccia del capitano, arrossendo quando il numero ventidue le si piazzò in parte.

Evan mi guardò ancora una volta prima di sorridere all'obbiettivo.

In mezzo a quei colossi, Lexie sembrava una piccola pulce e il suo dannato sorriso mi riscaldò il cuore.
Non solo mi aveva ringraziato per tutto il tragitto in auto, aveva anche insistito per tutto l'arco dell'incontro definendomi la migliore migliore amica in tutto il mondo.
Ormai da anni ero a conoscenza del suo amore spassionato per il basket, avevo sentito parlare un centinaio di volte dei poster appesi alla sua camera e non mi ero nemmeno mai stupita di trovarmela in ufficio con magliette e felpe della squadra.

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