Lunedì, 19 dicembre - "Catwoman..."

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Lena

Non riesco a dormire. È notte fonda, Eli è perso nel mondo dei sogni, tra le mie braccia. Il lato di Elijah è vuoto. Gli ho detto di non tornare a casa e non è tornato. Non so dove sia, forse ancora al club. E no, non abbiamo scattato nessuna fotografia per Natale.

- Mi dispiace... - bisbiglio, guardando mio figlio con le lacrime agli occhi. - Mi dispiace tanto... - gli bacio la fronte e lo copro per bene, prima di lasciare il letto e scendere di sotto.

La casa è silenziosa. Vuota. Fredda. Non mi sento a mio agio, in questo momento. Senza Elijah è tutto così strano. È lui a riempire tutti gli spazi.

E adesso mi manca da morire.

Eravamo così felici di passare questo Natale da soli. Avremmo cucinato insieme (più lui che io), guardato i cartoni animati con Eli e...

Mi avvicino di colpo alla finestra, notando qualcosa di strano. Una macchina. Aston Martin. Nera.

- Oh, mio dio... - bisbiglio, con le lacrime agli occhi.

Elijah è qui fuori, nella sua auto. Non è entrato in casa, ma è rimasto lì.

Grazie per avermi cambiato la vita, Lena.

Grazie per aver riacceso la luce, in quella stanza completamente buia.

Mi precipito fuori e spalanco la portiera, spaventandolo. Si era addormentato. E dalla smorfia di dolore sul suo viso, anche in una posizione terribilmente scomoda.

- Lena... -

- Vieni dentro, dai. -

- Scusami se... -

Lo trascino in casa e chiudo la porta. - Mi dispiace. - gli salto al collo, piangendo. - Mi dispiace. -

- Va tutto bene. - mi stringe forte, sollevandomi da terra. - Va tutto bene, amore mio. È colpa mia. -

- No... -

- Non ti ho detto la verità. - si siede sul divano, tenendomi sulle sue gambe. - C'è un motivo, se odio così tanto essere fotografato. -

E Mike lo sapeva. È per questo che mi ha detto di ricordargli cosa ha quasi perso. - Se non te la senti, non devi raccontarmelo per forza. -

- No, devi saperlo. - mi sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio. - Quando mi sono ripreso, dopo l'incidente, i paparazzi hanno iniziato ad inseguirmi ovunque andassi. Emily, all'epoca, era molto piccola e autismo e flash non vanno per niente d'accordo, come ben sai. -

Sì, ricordo benissimo le sue grida...

- Mi hanno costretto a passare cinque mesi chiuso in casa. Uscivo solo di notte per fare la spesa, controllando Emily con un baby monitor. Ma spesso si svegliava e dovevo tornare subito a casa, lasciando perdere la spesa. - il suo sguardo si perde verso ricordi troppo dolorosi. - Ho digiunato più di una volta, per far mangiare Emily. E per evitare che i paparazzi le facessero del male. È per questo che, oggi, odio così tanto le fotografie. Mi dispiace, avrei dovuto dirtelo fin dall'inizio. -

Io gli ho scattato delle foto a sua insaputa, senza sapere che il motivo per cui le odia è così forte. E sensato. Per colpa dei paparazzi, ha vissuto cinque mesi d'inferno.

- E ora...ora Eli pensa che io sia cattivo... - gli occhi di mio marito si riempiono improvvisamente di lacrime. È raro vederlo piangere. E ancora più raro vederlo piangere così. Singhiozza, aggrappato alla mia maglietta. - Scusa...scusa... -

- Elijah... - gli prendo il viso bagnato tra le mani. - Eli ha già dimenticato tutto. Mi ha chiesto di te, prima di andare a letto. E alla fine è venuto nel nostro e si è addormentato dal tuo lato. -

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