CAPITOLO 28

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Nella stanza cala un silenzio tombale. Il cuore mi martella nel petto, rimbombandomi dritto nelle orecchie. Credo stia per esplodere.

Ma è Elijah a preoccuparmi di più. È bianco come un lenzuolo e stringe le mani con una forza sovrumana. O mi colpirà, o prenderà a pugni qualcosa. E spero sia la seconda opzione.

- Eri...incinta? - mi chiede, con la voce che trema.

Dio, adesso ho paura di rispondere. - Sì... -

- Di quanto? -

- Quattro settimane. -

- Quindi, è successo una delle ultime volte. -

- Credo di sì. -

Batte improvvisamente i pugni sul bancone, rovesciando un vaso di ceramica, che va in frantumi. - Porca puttana! - sibila. - Cosa cazzo ti è saltato in mente, Lena!? -

Sbatto le palpebre. Sbaglio, o sta dando la colpa a me?

- Mi avevi detto che prendevi la pillola! - urla ancora. - L'hai fatto apposta, o cosa!? -

- Scusami!? Pensi che sia una deficiente? - lo spintono, accecata di nuovo dalla rabbia. - Lo sa cosa ho provato, quando mi hanno detto che il cuore di mio figlio non batteva più? Lo sai come sto, adesso? Te lo sei chiesto, razza di idiota!? -

- Modera i termini! -

- Non modero un cazzo! - lo spintono di nuovo, facendogli perdere l'equilibrio. Si aggrappa al bancone, fulminandomi con lo sguardo. - Tu bada a come parli! Non sai il dolore che si prova, perché non hai un briciolo di cuore! Ma quello era anche tuo figlio, che ti piaccia o no! E adesso è morto! Puoi dormire sonni tranquilli, non nascerà mai e non ti darà fastidio! -

- Sapevi di essere incinta! È per questo che hai fatto quella stupida battuta, sulla spiaggia! -

- NON LO SAPEVO! - urlo a squarciagola. - Se l'avessi saputo, con o senza di te, me ne sarei presa cura! - mi asciugo furiosa le lacrime. - Se non mi credi, è un tuo cazzo di problema! E sai una cosa? - gli punto il dito contro. - Nonostante abbia il cuore a pezzi, sono felice che quel bambino non abbia avuto la possibilità di conoscere quel mostro di suo padre! -

Si alza improvvisamente in piedi e, d'istinto, indietreggio e mi copro la faccia.

- Pensi davvero che possa picchiarti? - mi chiede, sconvolto. - È così che mi vedi, Lena? Come un picchiatore seriale? Sarò anche un mostro, come dici tu, ma non farei mai del male a una donna. -

Gli do le spalle e rimango in silenzio, ma un improvviso rumore di vetro rotto mi fa voltare di scatto. Elijah ha appena rovesciato il tavolo di cristallo, che è andato completamente in frantumi. Le sue mani grondano di sangue, ma non si ferma. Prende le sedie a una a una e le lancia contro la portafinestra, rompendo anche quella.

- Elijah, fermati! - grido, nel panico più totale.

Ma non mi ascolta. Solleva anche gli sgabelli e li scaraventa contro il muro.

Mi rannicchio in un angolo, con le ginocchia al petto, sperando che non mi colpisca. Mi fa paura. Anzi, sono terrorizzata. Non l'ho mai visto così e non so che fare.

Continua a rompere tutto, schizzando sangue ovunque.

- Basta, per favore... - singhiozzo.

Ma continua a distruggere la cucina senza sosta.

- BASTA!!! - sibilo, più forte che posso.

Si ferma improvvisamente e mi guarda. Ha il fiatone, le dita gocciolanti. È inquietante. - Sono un mostro, hai ragione. - ansima. - Sono un pezzo di merda, perché mi rifiuto di generare un altro mostro come me. - i suoi occhi iniziano a versare una lacrima dietro l'altra. - Non merito niente di buono, Lena. Sarei dovuto morire dieci anni fa. Almeno, la tua vita sarebbe stata diversa. Saresti felice, adesso. -

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