-Vuoi qualcosa da bere?- mi domandò prendendo due bicchieri, non avevo scelta.
-Mh- pensai, -solo un po' d'acqua, dai- risposi.-Come va la tua vita, quindi?- domandai.
-Per essere sincera, molto bene. Amo più di qualunque altra cosa la mia famiglia- rispose e mi fece pensare a quanto avessi voluto poter pronunciare quelle parole anche io. Ma purtroppo non era possibile.
Deglutii rumorosamente, cercando invano di far scendere quel groppo che mi si era formato in gola.
-Guarda- mi distrasse Hel. Poi prese un album da una mensola e me lo porse.
C'erano tutte le suoi bambine, ne aveva tre. Tutte e tre femminucce. Mi diceva sempre quanto amasse poter toccare una fotografia che averla su uno schermo, e di conseguenza ne aveva fatto un album. Erano bellissime, le prime due somigliavano al padre, che avevo visto di sfuggita ma bene, mentre l'ultima prendeva i lineamenti delicati della mamma.
-Sono bellissime- dissi facendo scorrere le mie dite sulla carta. Potevo notare l'emozione, anche dopo anni, nei suoi occhi.
Si asciugò le poche lacrime che stavano per ridargli le guance e lo rimise a posto.
-Ora dove sono?- chiesi.
-Le ho obbligate a uscire con il padre, non volevo distrazioni. Non ci vediamo da troppo tempo, Gra- si alzò e venne ad abbracciarmi.
-Hai ragione. Mi sei mancata così tanto- ricambiai l'abbraccio, ci scrivevamo qualche volta ma entrambe eravamo molto impegnate.La salutai, si era fatto tardi e sarei dovuta andare a prendere Dylan dalla nonna e dal nonno.
Mi misi in macchina, e mi sentivo strana. Come se mi fossi liberata da un peso, come se non avessi problemi.
Purtroppo, quella sensazione durò poco perché, suonando al campanello, ad aprirmi fu proprio lui.
Probabilmente non si aspettava di trovarmi di fronte la porta di casa di sua madre, infatti aveva ancora la faccia incollata allo schermo del telefono.
Mi schiarii la voce, per fargli alzare la testa, e quando mi vide fece un'espressione tra il sorpreso e il felice. Io invece ero tutto il contrario di felice.
-Ehi- mi salutò.
Lo schivai, colpendo un po' i suoi pettorali, che sembravano quasi di plastica, con il gomito e mi feci largo dentro l'abitazione.
Senza ricambiare lo sguardo che adesso mi attraversava dalla testa ai piedi, e nemmeno senza salutarlo, andai alla ricerca del mio bambino.
-Ciao Fayza!- urlai per farmi sentire, mentre prendevo per le ascelle il bambino dalla pelle olivastra,
-Ciao, cara.
Mandai un'occhiataccia sfuggente all'uomo, che era rimasto imbambolato sull'uscio della porta, ed uscii.
-Ciao- mi disse, purtroppo non ero talmente distante da non sentirlo, ma così egoista da non ricambiare il saluto.
Allacciai la cintura ed andai verso casa, "la febbre", che mi ero inventata, fortunatamente in questi giorni "era scesa". E fortunatamente ci avevano creduto tutti.La verità era che mi sentivo così sciocca da essermi arrabbiata per una cosa del genere, che ero arrabbiata per essermi arrabbiata. E mi ero arrabbiata con lui per avermi fatto arrabbiare per una cosa sciocca. Che poi in realtà lui non c'entrava niente: ma tanto si sa, quando le donne hanno torto, basta dare tutta la colpa agli uomini. Loro sì che sono sempre colpevoli. O forse non lo sono, ma non riescono mai a giustificarsi, così bingo! la colpa è la loro.
Facevo questi ragionamenti così stupidi e contorti mentre stringevo tra le mani il volante, ignorando completamente le parole che diceva mio figlio mentre sputacchiava di qua e di là.
-Mamma?- mi richiamò, ed io, come se mi fossi appena svegliata, lo guardai.
-Siamo arrivati- mi disse e stavolta il mio sguardo cadde sul finestrino trasparente. Eravamo parcheggiati fuori casa da chissà quanto tempo.
Pensa te se devo farmi correggere da un bambino di quattro anni! pensai, riflettendo su quanto fossi sciocca, anche più di un bambino.La casa profumava di pulito, di quel nuovo detersivo alla lavanda che usava sempre la donna delle pulizie. Mi fermai a godermi quella fragranza che danzava tra le mie narici, e poi mi accorsi di quanto fossi felice questa sera, così tanto da avere persino la voglia di preparare una cena come si deve. La pasta.
Mio figlio amava il brodo, e lo faceva anche un po' addormentare, così non esitai a prepararglielo. Anche a me la pasta la sera faceva un po' addormentare, non sapevo il motivo.
Procedimento forse anche più facile di camminare: mettere l'acqua a bollire, pesare la pasta, immergerla nell'acqua in ebollizione e scolarla quando è cotta.
Mi ripetei in mente questo procedimento come se fosse una filastrocca, mentre intonavo qualche strofa delle canzoni di Harry Stiles, disturbata dalle voci stridule dei personaggi nella TV.Come immaginavo, mio figlio si addormentò molto presto, ed io mi accucciai vicino a lui, facendo la sua stessa fine.
L'alba arrivò, e con lei, anche il giorno in cui avrei dovuto riportare Dylan a casa di Kylian.
Non era la prima volta che lo facevo, ma era la prima volta che ci andavo da arrabbiata, e forse avevo perso anche la voglia di non esserlo più con lui.
In fondo, è peggio farsi venire le farfalle nello stomaco e di sudare le mani piuttosto che ignorarlo.Spazio autrice
Chissà cosa succederà! Comunque volevo dirvi che la lettura di alcuni libri che ho iniziato, mi stanno aiutando e spero che si veda un miglioramento anche nella storia!
Se vi è piaciuta, lasciate una stellina e commentate che a me fa sempre piacere sapere cosa ne pensate.
Bacii❤️
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Ritorna da me/ Kylian Mbappé
Fanfiction{QUESTA STORIA NON HA UNA CONCLUSIONE E MAI L'AVRÀ} Sei il mio rimpianto, di giorno, di notte, a qualsiasi ora. Sei il mio pensiero fisso, pensiero di chi, si chiede costantemente come sarebbe andata se ci fossimo incontrati nel momento giusto. Grac...