3.

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Suonai al campanello di quella grossa casa, era una villa con un giardino e con almeno dieci stanze all'interno, ritrovarmi di nuovo in quel luogo dopo tutto quello che abbiamo passato fa male, molto.
Quando venivo qua perché avevamo litigato e volevamo chiarire, quando venivo ubriaca ed era l'unico posto di cui ricordavo perfettamente la strada, quando ero triste, quando ero felice, quando scoprii di essere incinta.
Questa casa per me significa tanto, è come un forno di ricordi che adesso ne sta cacciando un po' troppi.
Mi aprì lui stesso, senza fiatare. Adesso mi ritrovavo difronte a lui muta, sembrando una scema.
-Dov'è Dylan?- domandai sporgendomi nell'uscio per cercarlo con lo sguardo.
-È in salone- mi rispose soltanto, girandosi e andando verso quella stanza.
-Dylan c'è la mamma- mi aveva chiamato mamma anche lui, questa cosa mi provocò un nodo alla gola, anche se non lo volevamo, c'era un legame parentale tra noi e sarebbe stato molto difficile ignorarlo.
-Dylan!- esclamai appena lo vidi seduto mentre faceva avanti e indietro con una macchinina giocattolo. -È ora di andare a casa, forza- allargai le braccia per farlo salire in braccio, ma da parte sua arrivò solo uno sbuffo.
Il bambino non era solito fare capricci, ma oggi aveva pestato i piedi per terra e non voleva sentire ragione. Sbuffai anche io, meno volevo restare nello stesso posto con lui, più ci rimanevo.

Anche Kylian cercò di convincerlo, dicendogli che domani quando sarebbe tornato gli avrebbe fatto trovare tanti nuovi giochi, solo se mi avrebbe ascoltato. Fu un gesto moldo carino da parte sua, anche se viziarlo in questo modo mi sembrò un po' eccessivo.
-Dylan te lo dico per l'ultima volta, vieni o finisci in punizione- stavo perdendo la pazienza, non faceva mai capricci e proprio adesso voleva farli. Doveva abituarsi al fatto che la mamma e il papà fossero divisi, e meglio se lo capisse già subito.
A quanto pare ottenni l'effetto contrario, perché nostro figlio iniziò a piangere sbraitanando ancora di più. Mi misi una mano in fronte, -per te è un problema se rimane con te e domani mattina passo a prenderlo?- chiesi urlando per farmi sentire nonostante le urla del bambino.
-Certo, va bene.
Non ci guardavamo in faccia, ma almeno riusciamo a parlare da persone normali. Cioè in realtà no, due persone normali si guardano negli occhi quando parlano, noi no.
Mi accovacciai vicino al bambino, gli dissi la "buona notizia" e a lui tornò il sorriso, così similare al padre.
Potrei anche provare ad avere nuove relazioni ma ogni volta che guarderò mio figlio non potrò immaginare un altro padre, o padrino, perché tutto di lui mi ricorda Kylian, è una persecuzione.

Uscii dalla casa di nuovo sola, cercai di pensare positivo: potevo farmi una bella doccia calda di venti minuti, come le facevo prima di partorire. Come le facevo con Kylian.
Basta pensare a lui.
Misi in moto la mia Ferrari rossa e sfrecciai per le vie parigine, diretta nella mia nuova casuccia, avevo comprato una casa non esageratamente grande ma accogliente, tanto dovrò starci per soli due mesi. Luglio e agosto, sembrano pochi, ma in realtà sono esattamente 61 giorni. Cazzo, 61 giorni qui, con lui.
Posso farcela.
Aprii la porta di casa e la bellezza dell'arredamento mi colpì come un pugno in faccia, non si direbbe che non fosse arredata da me. Amo arredare, e quello era proprio il mio stile.
Mi buttai a peso morto sul divano e accesi la TV, telegiornali, reality show e cose noiose.

Mi imbattei nel canale dello sport dove stavano trasmettendo una vecchia partita del psg. A me piaceva il calcio, non che sia un'appassionata che va su tutte le furie se la squadra del cuore perde, però mi piace come gioco. Sopratutto perché gran parte dell'adolescenza l'ho passata lì, negli stadi, tra gli spalti. Quando i miei non volevano che io e Kylina ci fidandassimo, andavo sempre alle partite per vederlo, per stare insieme quando una partita finiva.
Ogni volta che la partita finiva stavamo sempre nella sala bar, e la semplice cosa che facevamo era parlare, parlavamo. Perché mi sembra ovvio che non potevamo fare altro, ci amavamo ma nemmeno quello era permesso.
Il primo bacio con lui lo diedi lì, e qualche tempo dopo decisi che i miei dovevano abituarsi alla nostra relazione, che nessuno dei due voleva più tenere nascosta.
I miei genitori non ci permettevano di stare insieme perché credevano che le persone famose fossero meno serie e che mi avrebbe solo usata e poi buttata dove capitava. Ed invece non è stato così, siamo stati insieme per ben quattro anni, i quattro anni più belli della mia vita.
I miei genitori pensavano sempre che io uscissi con le amiche, mentre no. La mia meta era solo quella, era lui.

Quando ci incontravamo eravamo sempre un po' impacciati, come degli undicenni alle prese con il primo fidanzatino, eppure per entrambi non erano le prime relazioni. Non so il motivo per cui ci facevamo questo effetto.

Quando scoprii che anche lui mi aveva tradito, i miei genitori non fecero altro che guardarmi incrociando le braccia e dicendo -te l'avevamo detto. Mi sarebbe pesato meno se fosse stato solo lui a tradirmi, così da non far soffrire anche lui. Invece no, ci siamo fatti le corna a vicenda, divertente vero?

Ritorna da me/ Kylian MbappéDove le storie prendono vita. Scoprilo ora