38.

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Sospirai, cercando da qualche parte la pazienza. Perché tutti erano così permalosi?
Decisi di lasciarlo stare per un po' visto che, conoscendo il suo carattere, molto permaloso, era meglio aspettare che il fuoco si spengnesse e poi provare a parlargli.
Fu così che feci, preparai da mangiare ma, come mi aspettavo, Kylian non scese nemmeno per prendere un po' d'acqua. Significava che la cosa lo aveva davvero ferito? D'altronde la mia frase era corretta: dopo quattro anni non poteva immaginare di venire al di sopra degli amichetti che, al contrario suo, il bambino aveva visto ogni giorno. Ma comunque non aveva colpa, sapevo che voleva recuperare e non vedevo dov'era il problema.
-Non hai fame?- chiesi rimanendo sull'uscio della porta, dove Kylian stava steso.
-No- mi rispose fermo, e anche se in quel momento mi venne voglia di baciare quelle labbra imbronciate, portai le braccia sui fianchi sbuffando.
-Davvero ti sei offeso?- domandai.
Lo vidi attraverso lo specchio che rifletteva l'immagine del letto, visto che ero rimasta sull'uscio.
Alzò gli occhi al cielo, ma non mi rispose.
Quando durante una discussione una persona non mi rispondeva, mi faceva arrabbiare tantissimo. -In fondo ho ragione!- continuai visto che mi stava dando abbastanza fastidio.
-Vaffanculo, Grace!- urlò e uscii dalla stanza sbattendo la porta.
Presi un respiro profondo, avevo decisamente peggiorato le cose.
La parte immatura, infantile e prepotente di me era venuta fuori, scavalcando quella gentile. Eravamo due permalosi ed entrambi volevamo avere ragione.
Solo dopo mi ricordai di quanto fosse seria la cosa, si trattava dei sentimenti di una persona e non di un pezzo di pizza. Scese in me un senso di colpa tale da potermi far scoppiare in lacrime, ma non lo feci. Kylian non doveva sentirlo, non doveva capire che ci ero rimasta male per lui anche perché in fondo avevo ragione. Lo so, lo so ero stupida e incoerente, ma la parte orgogliosa faceva a botte con quella pentita, e talvolta vinceva.

Dylan intanto si era addormentato, fortunatamente direi, mentre io cercai di spremere le meningi il più possibile per trovare un modo di rimediare. Non mi sarebbe dispiaciuto che venisse lui a chiedermi scusa, ma sapevo che da uno come lui le scuse non sarebbero mai arrivate.
Ed ora dove avrei dormito? Non potevo presentarmi in stanza e stendermi nel nostro letto come se niente fosse. Ma nemmeno la mia schiena aveva voglia di farlo sul divano, tanto meno nella stanza degli ospiti. Non c'era un reale motivo: volevo dormire con lui.
Tentai, pregando che non fiatasse, di entrare in stanza almeno per prendere il pigiama. Quando vidi che non mi disse nulla, provai a stendermi sul letto. Come speravo, lui rimase impassibile, facendomi godere l'unico letto piacevole in quella dimora. -Avrei voluto fare altro  qui, e non stare litigati- ruppi il ghiaccio, mettendo una mano su gli occhi per coprirmi dalla luce fioca che emetteva la lampada. La tolsi subito dopo per vedere la sua reazione.
-Sei una stronza- sentii che si girò dall'altra parte del letto con un sorrisetto sulle labbra, segno che aveva colto l'ironia della frase. Parlare di questo mentre si è litigati non è delle migliori delle idee, ma a quanto pare non gli aveva dato fastidio.
-Pensi che non mi voglia bene?- chiese tornando a pancia in su e cercando disperatamente il mio sguardo.
Intrecciai le dita sul petto, e poggiai la testa, come lui, sulla spalliera.
-Chi?- domandai guardandolo negli occhi, stavolta rossi.
-Nostro figlio- quel nostro ancora mi era difficile da sopportare. Per anni l'avevo considerato mio, l'unico salvagente da aggrappare dal momento che il padre non c'era più. Se stavo bene, era per lui. Se ero felice, era per lui. Se sorridevo, era per lui. Era per vedere ricambiato il sorriso che tanto mi ricordava il padre.
-Eccome se ti vuole bene- risposi accarezzandogli le mani con le unghie simulando dei cerchi. -Te ne vuole più di quanto pensi-.
Lo vidi riflettere sulle mie parole, -che preferisca i suoi amici a me, ancora non lo capisco- ribbattè.
Sospirai, cercando le parole per parlagli. -È normale, e non fraintendermi stavolta. Già si è aperto tantissimo passando quasi ogni giorno a contatto con una persona che dal vivo non aveva mai visto, ora ha bisogno di tempo. Semplicemente ancora non immagina la sua nuova vita qui- spiegai. -E sinceramente nemmeno io- continuai.
Era vero, non riuscivo ad immaginarci: accompagnare il bambino a scuola insieme, aiutare con i compiti Dylan, essere una famiglia. Una famiglia meravigliosa.
-Dici?- mi chiese.
-Dico.- risposi ironica, facendolo sorridere.
-E tu, Signorina Dineer, mi vuoi bene?- intrecciò le nostre mani, sorridendo come un bambino.
-Mh- feci finta di pensarci su. -Direi di no- risposi ironica.

Spazio autrice:
Allarme capitolo penoso⚠️, lo so scusatemi. Sono troppo troppo impegnata, con la scuola. Intanto, aspetto un 4 assicurato in inglese ma vabbè hahaha. Come state? Cosa ne pensate della storia? Vi piace?
Mi farò perdonare con altri capitili più carini, giuro. Scusate eventuali errori ma non ho il tempo di correggerli❤️❤️

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