52- Colpa

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31 maggio

La macchina procedeva lenta, incastrata in un traffico che non lasciava tregua. La strada per lo stadio di calcio pullulava di automobili e, fra un clacson e l'altro, ogni tanto qualcuno urlava un insulto in dialetto torinese.

"Ti lascio qui, va bene? Non ce la faccio ad andare più avanti".

Emilia non rispose. Guardava sommessa fuori dal finestrino, noncurante di suo padre accanto a lei.

"Emilia?".

"Sì, sì, scusa".

Giovanni accostò vicino a una fila di auto e mise le quattro frecce.

"Stai bene?".

Emilia si voltò, esibendo il più convincente dei sorrisi.

"Certo. Ho solo paura che quelli dell'Alfieri ci faranno a polpette, sarebbe un'umiliazione atroce".

Il padre accennò una risata e la ragazza sperò che non fosse troppo preoccupato.

Da quando erano saliti in macchina, non avevano scambiato una parola, ma a lei non erano sfuggiti tutti gli sguardi che ogni tanto lui le aveva rivolto di sottecchi.

"Chiamami quando devo venirti a prendere".

La ragazza annuì e uscì in fretta dal veicolo.

"Grazie papi, a dopo".

Il parcheggio dello stadio era un tripudio di bandiere, magliette colorate e striscioni. Persone vestite di arancione, mescolandosi a quelle vestite d'azzurro, si dirigevano verso l'ingresso, mentre dall'interno proveniva l'assordante rumore delle trombe e del tifo.

Emilia si lasciò trascinare dalla quella folla in fermento e, nonostante stesse avanzando, aveva la sensazione che lo stadio fosse sempre più lontano, come Achille che insegue la tartaruga ma non la raggiunge mai e corre, corre, corre, ma essa è sempre più distante.

"Biglietto, prego".

Emilia allungò il suo allo steward all'ingresso, ma, invece di salire sugli spalti, restò ferma a bordo campo.

Lo stadio era diviso a metà: da una parte gli studenti del D'Azeglio, vestiti d'arancione, dall'altra quelli dell'Alfieri, un liceo classico nato a inizio Novecento come succursale del primo, vestiti d'azzurro. La rivalità tra i due istituti era storica, sia sul piano strettamente scolastico sia su quello ideologico, in quanto l'Alfieri era noto per essere un liceo tendenzialmente conservatore.

La ragazza cercò con lo sguardo Alessia, ma le parve di non vederla.

Guardò il cellulare. Il messaggio inviato a Denisa, nel quale le chiedeva se sarebbe andata alla partita, era rimasto senza risposta e ricacciò il telefono in tasca con una smorfia.

L'attesa era logorante. Era esasperata, stanca, non vedeva l'ora che quell'orrenda messa in scena finisse. La prospettiva che Denisa impazzisse di rabbia di fronte a lei la spaventava meno dell'idea di continuare a mentirle, di vivere un'amicizia basata sulle menzogne.

"Emilia!".

Si voltò verso il campo. Andrea stava correndo verso di lei, la divisa da portiere indosso e la fronte imperlata di sudore.

"Ehi":

Si scambiarono alcuni sorrisi imbarazzati ed Emilia distolse lo sguardo.

Ripensò con tenerezza al loro primo incontro, in quello stesso stadio. In quel freddo giorno di febbraio, mai avrebbe potuto immaginare tutto ciò che sarebbe successo dopo.

"Tu hai sentito Elia?".

La ragazza strabuzzò gli occhi. "Non c'è?".

"No, il mister lo sta chiamando da mezz'ora, è incazzato a bestia, ma non gli risponde e nemmeno a noi altri della squadra".

Felicità PuttanaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora