TW: Sui*dio, Bullismo
25 aprile- pomeriggio
"Mi spieghi come fa a piacerti il puffo?".
Rebecca rise. "Guarda che è buono, eh".
"Non sa di niente, è un fiordilatte hipster" replicò Emilia.
"Non è vero".
Erano al Valentino, sedute sull'erba, sulla riva del Po. Le loro parole si mescolavano allo scrosciare dell'acqua e al cinguettio degli uccellini, che di tanto in tanto lasciavano i rami su cui erano appollaiati, provocando un dolce fruscio di foglie.
Avevano lasciato che il resto del gruppo andasse a mangiare per conto proprio, in modo da ritagliarsi un momento per stare insieme da sole.
"Comunque" disse Emilia, tossicchiando nervosa. "Credo che dovremmo dirci delle cose".
Rebecca accennò un sorriso e si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"Forse sì" mormorò, abbassando lo sguardo.
Emilia attese che fosse Rebecca a parlare, continuando a gustare il gelato. Aveva la bocca sporca di cioccolato e lo sguardo buono di una bambina.
"Mi dispiace per quello che è successo" mormorò Rebecca.
Emilia sorrise. "Dispiace anche a me".
Rebecca trasse un profondo respiro e guardò in alto, verso il cielo limpido. "Mi sono spaventata, per questo ho reagito in quel modo, scusa".
"No, non scusarti, sono io che devo farlo".
La ricciolina sorrise, il naso coperto da alcune lentiggini, comparse con il sole.
"Stavi piangendo, eri in un momento di crollo e io ti ho detto una cosa orribile".
"Però avevi ragione, mi avevi difeso, non aveva senso che io fossi arrabbiata".
"Rebi, non ho mai pensato neanche per un istante che meritassi di essere chiamata puttana".
Rebecca distolse lo sguardo, colpita da quella frase così spontanea e diretta come da uno schiaffo.
"Non sono solo cazzi tuoi, sono cazzi miei, sono cazzi delle altre" aggiunse Emilia. "Sai cosa ho detto oggi alla manifestazione?".
La ragazza non rispose.
"Lo sai cosa ho detto?".
"Che il fascismo è dire Tanto riguarda gli altri, non me".
Emilia annuì. "Se ti danno della puttana, se ti bullizzano, se mettono in giro voci orribili su di te, è anche affar mio".
Guardò oltre la sponda del fiume, dove l'erba cresceva incolta e le piante erano chine sulla superficie dell'acqua. "E ti devo chiedere scusa anche per questo, per non essermi accorta prima del male che ti stavano facendo".
"Non importa" rispose Rebecca, la voce rotta e gli occhi lucidi. "Non puoi capire".
"Aiutami a farlo".
"Sei mai stata completamente da sola in classe? Trattata come una nullità, umiliata, chiamata puttana?".
Emilia aprì la bocca per rispondere, ma non riuscì a dire nulla. L'angoscia, come un verme, le stava divorando lo stomaco a piccoli morsi.
"Appunto" singhiozzò Rebecca. "Tu non sai com'è. Io ho pensato tante volte di... Di non voler più stare qui, mi sono chiesta che senso avesse vivere".
"Non dirlo".
"E che cambia?". La ragazza guardò Emilia negli occhi. "Lo so che fa paura sentirlo, ma è quello che ho provato così tante volte".
Lasciò cadere il cono sull'erba e la pallina di gelato azzurra iniziò a sciogliersi. Si coprì il volto con le mani, scossa dai singhiozzi.
"Tanto a chi cambiava se ci fossi o meno? A chi?". La sua voce era ormai un grido stridulo. "Ho troppo rispetto per mia mamma, per questo non l'ho fatto".
Emilia era paralizzata. Non riusciva più a muoversi, a mangiare, a parlare. Aveva la gola secca e un groppo che le raschiava le mucose. Più tentava di tenere a freno le lacrime più il dolore alla gola si acuiva e diventava difficoltoso respirare.
"Tu non sai com'è, Emilia. Non lo sai".
"È vero, io non so com'è" rispose Emilia, con le lacrime che colavano lungo le guance e la voce simile a un lamento. "Ma voglio proteggerti, voglio provare a farti vedere che c'è del bello, che c'è tanto bello attorno a noi. Attorno a te".
"Lo so".
Rebecca sollevò il capo, lo sguardo fisso sul fiume. "Tu sei parte di quel bello che stai cercando di farmi vedere".
Emilia sorrise, gli occhi gonfi, il viso bagnato.
"Lo sei stata quando hai bussato alla porta del bagno, quando mi hai invitata al nostro primo aperitivo. Quando mi hai portata alla mia prima festa, anche se poi sei sparita con Andrea".
La mora scoppiò a ridere, arrossendo.
"Quando hai parlato con il preside, perché volevi che anch'io venissi in Grecia".
Emilia la abbracciò con forza, le carezzò il capo e la schiena.
"Un po' di bello forse adesso riesco a vederlo".
Si strinsero l'una contro l'altra, continuando a piangere, i corpi scossi da singhiozzi. Mentre la teneva tra le sue braccia, Emilia ebbe paura che Rebecca potesse svanire da un momento all'altro, come polvere spazzata via dal vento. Quanto grande poteva essere il dolore di una persona che preferisce morire piuttosto che credere che il futuro sarà più lieve? Quella consapevolezza le scatenò un brivido lungo la spina dorsale e fu così forte che ebbe la sensazione di essere stata spaccata in due.
"Rebi?".
"Sì?".
"Ti voglio bene".
Rebecca rise. "Anch'io, Emilia. Forse non immagini nemmeno quanto".
Spazio autrice:
Ciao personcine, spero che questo delicatissimo capitolo vi sia piaciuto. Esattamente come il precedente, non è stato facile scrivere nemmeno questo. Rileggere lo spazio autrice che avevo scritto nel 2020, durante la prima stesura, mi ha fatto un certo effetto: dicevo di non aver mai vissuto nulla di simile a quello che ha vissuto Rebecca e di aver trovato complicato immedesimarmi in lei. Rinnovo questa affermazione solo a metà: per mia fortuna non ho mai vissuto un bullismo così serio e devastante, ma quella sensazione di non voler più vivere ora posso capirla, perché l'ho provata due anni fa. E spero con anima e corpo che se c'è qualcuno tra voi che ha mai pensato o pensa qualcosa del genere, rifletta sul fatto che il bello c'è: è attorno a noi, dentro di noi e non dobbiamo permettere alla nostra testa, o ad altre persone, di farcelo dimenticare.
Se fate questi pensieri, chiedete aiuto: so che è difficile, so che ci sono persone che non capiranno, ma è l'unica strada per uscirne. Vi auguro davvero ogni bene❤️
Baby Rose
P.s. Vi aspetto martedì con il prossimo capitolo, e già so che molti lo adoreranno e altri lo odieranno hahahahaha. Una cosa è certa: dopo la pesantezza degli ultimi due capitoli, i toni cambieranno del tutto!
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Felicità Puttana
Teen FictionEmilia Martucci ha diciassette anni, una lingua tagliente quanto una lama e un unico obiettivo: sopravvivere al quarto anno di liceo classico. Grazie a un ripasso dell'ultimo minuto nel bagno della scuola e a una sfortunata serata in discoteca, tro...