54- Troia

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3 giugno

Il cellulare di Emilia era arido di messaggi.

Rilesse le chat per l'ennesima volta, sperando finalmente che quelle orribili spunte grigie diventassero blu e comparisse una risposta.

Non accadde.

L'ultimo messaggio che aveva ricevuto era stato da parte di Alessia, poco dopo la fine delle lezioni.

A: -In questo momento ho davvero poca voglia di parlarti. Scusami. Ho bisogno di riflettere.

Quella frase era stata una coltellata al cuore.

Ormai tutti sapevano quello che era accaduto. Denisa aveva trascorso le ultime dure ore di scuola in bagno, accasciata sul pavimento, e l'unica persona di cui aveva accettato la compagnia era Rebecca.

Gli altri messaggi che Emilia aveva mandato, invece, erano rimasti senza risposta.

E: -Fede, Denisa sa, ma io non le ho detto niente. Che cazzo succede?

-Rispondimi, ti prego.

-Fede?

E: -Saba, ti posso chiamare?

-Perché mi ignori, cazzo

-Sto venendo a casa tua, rispondi

Il bus accostò alla pensilina.

Emilia scese e si incamminò verso il condominio in cui viveva Elia, sotto il sole rovente che rendeva l'asfalto un fiume di lava.

Le strade larghe e i marciapiedi erano deserti, come in uno scenario post apocalittico, e gli unici rumori che infrangevano quel silenzio carico d'attesa erano i suoi passi e il tintinnare del portachiavi attaccato alla borsa.

Il quartiere Mirafiori Sud sembrava uscito da un videogioco. Palazzoni tutti uguali si distribuivano uno dietro l'altro, alternandosi a giardinetti con l'erba tagliata così fine da sembrare finta, e non si scorgevano nessun bar o negozio nelle vicinanze. Solo vie tutte uguali che sembravano disabitate.

Emilia raggiunse il palazzo stanca e sudata, dopo venti minuti di cammino percorsi a passo svelto.

Controllò un'ultima volta il telefono.

I messaggi che aveva mandato ad Elia continuava a restare senza risposta, perciò citofonò.

"Chi è?".

"Aldo, ciao" esclamò e pian piano il suo tono di voce si affievolì. "Sono Emilia, Elia è in casa?".

"Sì, sali sali".

La ragazza salì i gradini a due a due, rischiando di inciampare, e raggiunse il quarto piano con il fiatone.

Il padre di Elia era sulla soglia, vestito con gli abiti da lavoro.

"Ciao bella, hai fatto bene a venire". Il nervosismo rendeva il suo accento torinese ancor più marcato. "Io sto andando a lavoro e non è che mi piace l'idea di lasciare Elia da solo".

Ancor prima di vederlo, Emilia sapeva quanto fosse arrabbiato per i guai in cui si era cacciato il figlio. Lo sguardo lugubre che aveva impresso in volto ne era solo la conferma.

"È in camera sua". Indicò con un cenno del capo il corridoio. "Vedi se riesci ad averci una conversazione normale, perché io c'ho rinunciato".

"Ci provo" mormorò Emilia, prima che l'uomo mettesse il primo piede fuori dalla porta.

"Ti saluto, ci vediamo dopo".

La porta le si chiuse alle spalle con un tonfo e la ragazza restò da sola. Conosceva quella casa come se fosse la sua e non ebbe dubbi su quale fosse la porta alla quale bussare.

Felicità PuttanaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora