55- Ricreazione

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N.B. Mi sono accorta solo oggi che nello scorso capitolo mancava una frase di Elia, che è tipo stra importante per capire la reazione finale di Emilia hahaha. Perciò vi invito a rileggere le ultime righe, mi dispiace tantissimo per questo inconveniente, ma a volte quando copio da Word a Wattpad succedono casini.

4 giugno

Emilia non aveva mai provato sulla propria pelle cosa significasse essere a scuola e non avere nessuno con cui condividere la ricreazione.

Sola in cima alla rampa antincendio, si sforzava di ingoiare la merendina molliccia delle macchinette, osservando il via vai di studenti in cortile. Portava sul viso i segni di una notte insonne: occhiaie profonde, le palpebre calate, la fronte aggrottata.

Tutto le sembrava lontano e sfocato, come quando ci si risveglia da un sogno e si ripensa con distacco alle proprie vicende oniriche. Come sistema di autoprotezione, il suo cervello l'aveva gettata in uno stato di apatia.

Durante le prime tre ore di lezione, Alessia non le aveva rivolto la parola. Si era limitata a dirle un timido "Ciao" a inizio mattinata, per poi sprofondare con la testa nei libri, più concentrata di quanto non lo fosse stata durante tutto l'anno.

Quando era suonata la campanella della ricreazione aveva bofonchiato: "Vado in bagno", ma non aveva fatto ritorno. Emilia la aveva aspettata invano e, stanca delle continue occhiate divertite che le lanciavano le sue compagne, era salita al terzo piano e si era seduta sugli scomodi gradini della scala in ferro.

Il cielo era limpido sopra la sua testa. La fine della scuola era alle porte ed erano già arrivati i primi indizi d'estate.

La ragazza ripensò all'estate precedente. Tre mesi bloccata a Torino, con il calore dell'asfalto che scioglieva gli infradito in gomma, a studiare matematica e latino in vista dell'esame di recupero del debito di fine agosto. La mattina Alessia andava a casa sua per darle ripetizioni, il pomeriggio si stanziavano in piscina, circondate da ragazzi che ci provavano e bambini chiassosi, e la sera girovagano per la città, svuotatasi a causa delle ferie estive. Mentre camminavano brille lungo il Po, i piedi doloranti per i tacchi e i vestitini stretti, sentivano di avere tutta Torino tra le loro mani. Ed erano felici.

La campanella ridestò Emilia dai suoi dolci ricordi.

Respirò a fondo, per poi alzarsi con lentezza, affaticata da quel movimento tanto semplice.

La notte precedente aveva scalpitato nel letto, piangendo, perché non voleva andare a scuola l'indomani. Suo padre era a lavoro e, sola nel buio della sua casa, aveva avuto l'impressione di poter morire di dolore.

Denisa la odiava. Alessia non le parlava. Rebecca non si era fatta viva. Elia era arrabbiato con lei. Federico non rispondeva ai suoi messaggi.

L'idea di trovare tanto astio tra le mura del D'Azeglio, da parte delle persone più importanti della sua vita, le aveva bloccato il respiro.

Aveva sentito parlare, durante un corso di cinque incontri tenuto da una psicologa durante le lezioni di religione, del termine "attacco di panico". Non sapeva se quello che aveva provato la notte precedente fosse stato proprio un attacco di panico, ma ciò che era certo e che era stato terribile.

Strisciò lungo la parete del terzo piano, cercando di essere invisibile agli occhi degli altri studenti. Aveva l'impressione che tutti la scrutassero con la malizia, la giudicassero e ridessero di lei. Si guardava attorno furtiva, come una ladra all'opera.

Si fermò di colpo a pochi passi dalle scale.

All'imbocco di esse c'era Ruben, la schiena poggiata al corrimano e lo sguardo fisso sullo schermo del cellulare.

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