9 maggio
"Tre, due, uno... Si gira".
Emilia si sforzò di sollevare lo sguardo. In piedi al centro della palestra, aveva trascorso gli ultimi dieci minuti a fissarsi le scarpette di vernice, che cozzavano con il pavimento in gomma verde sporco.
In occasione di quelle prove, Simone aveva procurato agli attori i costumi ufficiali dello spettacolo e in quel momento, in attesa delle scene in cui sarebbero comparsi, gli altri ragazzi se ne stavano seduti contro i muri della palestra, come una scolaresca del 1944 finita per sbaglio nel futuro. Emilia indossava un vestito verde dal taglio spigoloso e austero, che le si stringeva in vita e ricadeva morbido fino alle ginocchia, dando al suo corpo la forma a clessidra tanto in voga nella società di quegli anni.
Guardò Federico, a pochi passi da lei, con indosso una camicia giallognola e dei pantaloni di velluto abbottonati fino all'ombelico. Era dalla festa di Filippo che non parlavano e quel reciproco ignorarsi le dava la nausea, ma non poteva lasciar intravedere la sofferenza che la attanagliava, non davanti a tutto il gruppo di teatro.
"Ho portato siringhe, garze e alcuni farmaci" esordì, immedesimandosi nell'infermiera Anna, tornata sulle montagne dalla banda partigiana dopo essere stata in città. "Sono stata fermata da una brigata nera nei pressi dello studio, ma ho detto che stavo andando a casa di alcuni anziani malati e mi hanno lasciata andare senza altre domande".
Federico aveva le dite infilate nel colletto della camicia. Continuava a sistemarselo, nonostante fosse già abbottonato per bene. Emilia lo aveva osservato di sottecchi dall'inizio delle prove. Era nervoso e distratto, si guardava attorno come un'anima in pena, perso in chissà quali pensieri.
"Ti hanno fermata?" domandò, vestendo i panni di Giorgio. Era evidente il suo sforzarsi di essere presente nel momento; non aveva mai recitato così male. "Cazzo, devi fare attenzione quando ti sposti".
"Come osi? Dubiti della mia prudenza?".
"Ci sono spie ovunque, tengono sotto controllo qualsiasi persona, come puoi non..." Federico incespicò nelle sue stesse parole. "Come fai a non essere preoccupata?".
Simone lo fulminò con lo sguardo, ma egli parve non farci caso. Si muoveva irrequieto sul posto, le mani ora al colletto ora ai polsini della camicia, come se il tessuto fosse infestato dalle pulci.
"Giorgio, sono due mesi che faccio avanti e indietro dalla città e non sono mai stata scoperta, pensi sul serio che io non sappia quello che sto facendo? Ma tu che ne vuoi sapere, sai solo farmi la morale dall'alto del suo senso di superiorità".
Alla battuta di Emilia seguirono alcuni istanti di silenzio. Simone fissò con gli occhi spalancati Federico, in attesa che pronunciasse la sua parte, ma il ragazzo quasi non ci fece caso.
"Sì, scusate" mormorò, dando un colpo di tosse. "È che questa camicia...".
"Fede, non è un problema se è stretta o ti dà fastidio" intervenne Simone, spazientito. "Abbiamo tutto il tempo che vogliamo per cambiarla, vi ho fatto provare prima gli abiti apposta".
"Va bene, sì". Il ragazzo era sempre più agitato. Fece per riprendere la sua parte, ma le parole gli morirono in gola. "Scusatemi, ho bisogno di un bicchiere d'acqua".
Si allontanò di gran carriera, sotto lo sguardo confuso di tutti i presenti.
"Okay" esclamò Simone, mascherando la perplessità con un tono di voce gioviale. "Va beh, forse è meglio se facciamo pausa. Ci rivediamo tra quindici minuti".
I ragazzi si alzarono con un brusio, alcuni uscirono in cortile a fumare, altri rimasero in palestra a chiacchierare, divisi in gruppetti.
"Non capisco che gli sia preso" borbottò Simone, avvicinandosi a Emilia. "Se la camicia gli dà fastidio la possiamo cambiare, non c'è bisogno di farne una tragedia".
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Felicità Puttana
Teen FictionEmilia Martucci ha diciassette anni, una lingua tagliente quanto una lama e un unico obiettivo: sopravvivere al quarto anno di liceo classico. Grazie a un ripasso dell'ultimo minuto nel bagno della scuola e a una sfortunata serata in discoteca, tro...