1 Progenie

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21 ottobre 1996

Le grida di dolore erano assordanti. In tanti anni che avevo vissuto tra quelle cavità del sottosuolo, scavate nelle pareti rocciose, non avevo mai assistito a tali lamenti. Quando arrivò il momento, non ci fu bisogno di chiedermi se mi sentissi pronto. Non lo ero. Ma solo io potevo aiutarla. Per anni mi era stato imposto di studiare la razza umana e in particolare l'arte ostetrica. Le mie competenze andavano dalle pratiche magiche alla preparazione psicologica, nonché agli interventi manuali della gestazione. Le mie mani, sottili e affusolate, erano perfette per un lavoro del genere.

Eppure, quello che era appena accaduto aveva scioccato anche me.

Non ero preparato a un tale imprevisto, ma non era il momento di pensarci. Dovevamo fare in fretta. Gli ripetevo di non agitarsi, che ce l'avremmo fatta ma doveva spingere. Era necessario. Tentai di rassicurarla con una leggera carezza mentre lo strazio nei suoi occhi mi implorava di fare in fretta. Le tenni le gambe larghe quanto bastava per facilitare l'uscita. Quando vidi la testolina castana sbucare fuori, infilai le dita per aiutare la dilatazione.

Per un attimo il mio cuore ebbe un sussulto.

Stava succedendo davvero. Dopo tutto quello che aveva appena passato, chiederle di spingere ancora fu come chiederle un sacrificio troppo grande. La implorai di fare l'ultimo grande sforzo, con la promessa che sarebbe finita.

Lei strinse forte i pugni sulla breccia polverosa e lo fece. Io roteai a fatica la piccola testolina, uscì del sangue ma finalmente sfilai via il corpicino. Lo poggiai subito sul suo ventre accarezzandolo per riscaldarlo. Afferrai le stoffe marroni di fianco a noi e iniziai a ripulirlo. Mi aspettavo che lo stringesse forte a sé, ma per un attimo mi sembrò come assente. Continuai a pulirlo e riscaldarlo aspettando una sua reazione. Lei si voltò dall'altra parte e una lacrima le rigò il viso. Afferrai la bambina e la strinsi a me. Mi assicurai che respirasse, pulendole il visto e il resto.

Era bellissima.

Anch'io mi commossi. Dopo tutto quel tempo, mettere in pratica i miei studi mi rese orgoglioso. La neonata mi guardò. Quegli occhi mi lasciarono senza fiato.

La madre mi osservava di sottecchi, sdraiata e sudata.

Le chiesi se volesse vederla, se volesse abbracciarla. Ma lei si rifiutò.

Mi ricordò quel che era appena accaduto e che non c'era più tempo.

Bisognava portarla via. Subito. Chiese a me di farlo, lei doveva restare.

Io mi opposi.

Non ero in grado di prendermene cura, non ero una donna, non ero sua madre.

Questa volta fu lei a implorarmi. Io conoscevo la verità e la bambina non poteva restare in quell'antro roccioso neanche per un solo altro minuto.

Andai in apnea per alcuni secondi. Lei mi ammonì. Mi disse che sarebbe stata tutta colpa mia se l'avessero presa. Che i miei sforzi e i suoi sarebbero stati vanificati in pochi istanti. Esalai un respiro. Le domandai se fosse sicura della richiesta che mi stava facendo. Lei mi ribadì di andare il più lontano possibile.

Ci saremmo ritrovati non appena gli eventi ce ne avrebbero dato l'opportunità.

Sentimmo una voce. Non c'era più tempo.

Scattai in avanti. Arrotolai un'altra coperta attorno alla creatura e scappai.

Mi mossi veloce tra i corridoi. Afferrai una fiaccola di fuoco dalla parete e mi feci strada illuminando i sentieri più bui.

Le rigide temperature erano una costante in quei sotterranei, eppure quella sera grondavo sudore da ogni poro della pelle. Mi accorsi che qualcuno stava passando poco più avanti allo stesso svincolo che avrei dovuto superare per raggiungere l'uscita. Attesi. Ansimai. Il mio cuore non era fatto per sopportare una simile agitazione. Ero avanti con l'età e il corpo magro non avrebbe retto a chissà quali torture. Feci dei passi silenziosi e mi affacciai.

Il corridoio era vuoto.

Svoltai subito a sinistra e percorsi l'ultimo quarto di caverna che mi avrebbe condotto all'esterno. La mia fiaccola mi fece scorgere un'ombra dietro di me.

Era tardi. Mi avevano scoperto. Potevo voltarmi e arrendermi. O potevo pregare che le mie gambe reggessero e scappare fuori da quelle mura. Nel bosco nessuno mi avrebbe scovato. Il mio potere mi avrebbe permesso di nascondermi per ore, disseminando con facilità ogni cacciatore.

Osai. Continuai a correre senza fermarmi. Uscii dalla caverna senza mai voltarmi, mi assicurai di tenere la bambina al caldo e di non inciampare nella vegetazione.

Mi accorsi subito che quell'ombra sembrava non avermi seguito. Aspettai prima di scappare, ma dopo un po' ebbi la conferma di essere solo.

Non ho mai scoperto chi si celasse alle mie spalle. 

Empowerment, Blank Slate SagaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora