Epilogo

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Erano passati sette giorni dallo scontro con Viraha in cima alla torre, eppure i sogni di Denise non sembravano darle tregua. Continuava a ripercorrere le scene del suo passato, quelle mezze verità disseminate come indizi qua e là. Si domandò se Viraha avesse anche il potere di entrare nella sua mente e tormentarla per averle voltato le spalle. Si convinse che solo con le risposte giuste quel senso di angoscia si sarebbe placato. Continuava a pensarci mentre camminava lungo la via sdrucciolevole di Κάοs. Il vento soffiava forte attorno alla torre e le folate d'aria si infilavano sotto il lungo cappotto. Il viso tagliato in due dal grosso colletto alto e i capelli liberi di dimenarsi al vento. Quando arrivò alla base della torre fu al riparo, si guardò intorno sistemandosi le lunghe ciocche di capelli dietro le orecchie e capì cosa intendesse il Ministro quando le aveva detto che Κάοs era stata messa sotto assedio. Era sola.

Quel posto sembrava abbandonato da anni, eppure solo sette giorni prima era brulicante di creature chinate sul ferro ardente. Si incamminò sotto l'arco percorrendo le scale che la condussero alla prima loggia della torre. Era determinata a trovare qualunque cosa potesse placare i suoi interrogativi.

Circa un'ora dopo, arrivò sotto l'arcata dell'ultimo pianerottolo. Quando l'oltrepassò, un brivido lungo la schiena la immobilizzò sotto la rampa di scale che precedeva la massiccia porta di legno annerita dalle fiamme. Stava per salire il primo gradino quando successe ancora. Si voltò alla sua sinistra come attratta da un suono. No, non era un suono. Era un richiamo.

Quella piccola porta in fondo al pianerottolo era ancora lì, chiusa con il lucchetto nero. Con ogni probabilità non era stata affatto ispezionata dopo lo scontro. Decise che doveva farlo lei. Spostò i piedi uno dopo l'altro per avvicinarsi e studiare quella sensazione che non aveva mai provato prima.

"Cosa diavolo c'era oltre quella porta?"

Agitò il lucchetto sperando di aprirlo con facilità. Si fermò portandosi una mano al petto. Si rese conto che forse non era la prima volta che si sentiva in quel modo. Quando era una bambina, di notte, le capitava spesso di fissare il buio di fronte al suo letto e avvertire quella presenza, come la certezza che qualcuno fosse seduto sulla poltrona in fondo alla stanza e avesse occhi solo per lei. Dopo un paio di tentativi a vuoto decise di usare la sua energia. Aprì il palmo della mano caricando una piccola sfera bianca, la gettò contro il lucchetto ma non fece altro che corrodersi un po'.

Denise sbuffò.

Si portò i capelli dietro le orecchie e fece scrocchiare il collo prima di ritentare. Caricò una sfera più grande usando due mani, quando la gettò sentì un clangore metallico seguito dalla caduta del lucchetto. Non perse altro tempo e spinse la porta verso l'interno per entrare.

Era buio, non vedeva niente ma sentiva quella presenza aumentare ancora. Alzò il palmo della mano caricando una sfera bianca, usandola come torcia. Fece un giro su se stessa sperando di notare qualcosa che attirasse la sua attenzione. Alla sua destra una panchina di legno bassa e lunga, alla sua sinistra una libreria semivuota, solo un paio di libri sugli scaffali centrali e dei fermacarte su una mensola più bassa. Di fronte a lei, una parete vuota, con un orologio affisso.

Niente. La stanza era vuota.

"Come è possibile?"

«Qualcosa non va» sussurrò osservando meglio le pareti. Sfiorò i volumi della libreria sperando di trovarli interessanti, ma quando li afferrò non accadde niente. Lesse due titoli: "Le regole del tempo e i sobborghi della memoria", entrambi di H.K. Camburis. Si concentrò sull'orologio a parete. Era un grande piatto di ceramica di forma romboidale. All'interno ricami rossi e neri si intrecciavano disegnati lungo la cornice; quando si avvicinò, si accorse che nel mezzo il cerchio contenente il quadrante bianco dalle lancette dorate, sporgeva come un tappo. Segnava le otto e tre quarti. Denise provò a staccarlo ma non si aprì. Provò a rotearlo, tuttavia non accadde nulla. Sbuffò.

"Qui non c'è niente."

Stava per demordere quando sentì il suono di un sms.

Si fermò sotto l'uscio della porta e afferrò il telefono dalla tasca che le illuminò il viso. Un messaggio da un numero sconosciuto.

Quando lo aprì il testo recitava: "Che ore sono?".

Le mancò il fiato per un secondo. Sentì il cuore batterle in gola. Era lei, era sicura, l'aveva contattata senza usare il suo solito numero.

"Perché? Voleva solo confonderla? E che significato aveva quel messaggio?"

Osservò lo schermo illuminato e si soffermò sull'orario. Alzò lo sguardo verso l'orologio affisso. Accese la torcia del suo iPhone e si spostò in fretta alla parete. Spostò le lancette dorate all'ora esatta di quell'esatto momento. L'eco di uno scatto di ingranaggi le pervase le orecchie.

Denise trasalì quando un taglio nel muro si delineò dietro l'orologio. La sagoma di una porta si era appena formata davanti ai suoi occhi. il cuore le batteva a mille mentre infilava la mano nella fessura che si era creata.

Tirò con fatica la parete verso di lei.

Quello che vide fu una stanza vuota, buia, ma sul fondo una piccola finestra sbarrata da inferriate permetteva al bagliore del tramonto di intrufolarsi, affusolato, tagliando la stanza in diagonale. Denise restò a fissare la parte buia mentre quella sensazione era più vivida che mai. Sentiva un respiro affannato. Fece un primo passo nel buio e si accorse di avere qualcosa sotto le scarpe.

«Chi c'è?»

Si avvicinò chinandosi sulle ginocchia. Posò le mani a terra e si accorse che stava schiacciando con le scarpe folti capelli bianchi. Quando gli occhi si abituarono al buio, scorse una sagoma raccolta nell'angolo, un uomo, la testa rivolta verso il muro.

La lunghissima chioma di capelli bianchi era annodata dalla sporcizia. «Puoi sentirmi? Chi sei?» domandò avvicinandosi ancora di un passo.

«Io... non... non lo so» mormorò l'uomo.

Si voltò verso di lei uscendo dall'ombra, mostrandole il suo volto.

Denise sgranò gli occhi. «Aspetta...» Indietreggiò di un passo. «Perché mi sembra di conoscerti?» si domandò fissandolo. Fece di nuovo un passo verso di lui chinandosi per guardarlo meglio nella penombra e un flashback la riportò alla visione avuta durante l'interrogatorio del Ministro Varnos:

«Finché io sarò in vita non ti accadrà nulla» disse l'uomo anziano mostrando il suo viso mentre stringeva tra le mani bagnate i due amuleti.

«Dobbiamo fare in modo che lo tenga sempre al collo» aggiunse.

«Tu... sei ancora vivo. Sei il Re Unico!» esclamò portandosi una mano al petto. 

Empowerment, Blank Slate SagaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora