14 Relaitvità

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A quasi tremila miglia da San Francisco, durante la stessa notte, a Washington si agitava un temporale. La forte pioggia batteva sui tetti e sull'asfalto, limitando la visibilità, rendendo confusa qualunque azione.

Molti erano i taxi che sostavano all'ingresso dell'aeroporto, le persone uscivano frettolose dalle vetture, trascinandosi dietro i bagagli per correre al riparo. Uno di questi lasciò un passeggero davanti all'ingresso e sfrecciò via; la persona non aveva alcun bagaglio, e indossava una mantella nera con un cappuccio per ripararsi dalla pioggia. Per un paio di secondi restò lì, immobile, contemplando l'ingresso. Dopo qualche tentennamento, si diresse decisa verso la porta a vetri. Entrando non tolse subito il cappuccio, prima si addentrò tra la gente, scrutandola, quindi si diresse verso la toilette dell'aeroporto. Si avvicinò allo specchio, a testa bassa cominciò a insaponarsi le mani per poi lavarsele con rapidità. Solo dopo che le sembrarono pulite a sufficienza sollevò lo sguardo, ma quel che vide per un attimo la immobilizzò. Era sempre lei, ma di certo non si riconosceva. Aveva il viso martoriato, sporco e provato, i capelli biondi erano così secchi e addensati da risultare inceneriti, anche i suoi occhi, dello stesso colore del ghiaccio, avevano perso la luce. L'unica cosa che la teneva in piedi e le dava la forza di non mollare era la volontà di scoprire di più sulla sua identità.

Mentre si lavava i polsi arrossati che portavano ancora i segni delle corde, di colpo la pervase un fastidioso dolore alla testa, chiuse gli occhi e poggiò le mani al lavandino per reggersi.

Era dentro una gabbia in uno scantinato buio. Aveva entrambe le mani legate, una corda le teneva strette tra loro e sospese a un gancio basso, costringendola a stare in ginocchio. Era in un ex locale commerciale, l'aria viziata sapeva di abbandono. Gabbie ovunque, alcune vuote, altre ospitavano cadaveri umani e altre cavie ancora in vita, ragazzi e ragazze come lei. Alison aprì gli occhi, credeva di essersi svegliata a causa di un rumore; ma si rese presto conto, alzando lo sguardo, che a svegliarla era stata la luce del sole, la quale, passata attraverso il lucernaio, batteva su una lastra di metallo per poi illuminarle il volto.

Dopo alcuni battiti di palpebre non poté fare a meno di notare un simbolo che si rifletteva sulla lamiera. Due semicerchi, uno opposto all'altro, intersecati da un rombo. Alison non poteva credere a quel che vedeva.

"È tutto vero?"

Aveva passato gli ultimi anni intrappolata in quella gabbia a dubitare di ogni parola proferita dal suo oppressore. Le aveva detto di essere speciale, che avrebbe fatto parte di un disegno molto più grande di quello che qualunque ragazza potesse mai immaginare, e che presto avrebbe ricevuto un dono che le avrebbe mostrato il cammino. L'aveva chiamato Energia, una materia oscura che accompagnata da un medaglione di pietra si sarebbe palesata davanti ai suoi occhi scettici, ma lei non ci aveva creduto.

"E se fosse frutto di un potente allucinogeno?", si era domandata sbattendo più volte le palpebre, con la speranza di svegliarsi da quel delirio e rendersi conto che non stava accadendo davvero. Di sicuro era così, non poteva averle detto la verità, non avrebbe avuto alcun senso. Eppure eccolo lì, in lontananza ma ben definito.

"Da che parte sta veramente? Vuole davvero salvarmi o fa tutto parte di un subdolo piano?" si chiedeva, mentre osservava con attenzione quel simbolo lucente, quando un tonfo la fece trasalire. Passi pesanti rimbombavano sul legno del magazzino, Alison sperò con tutta se stessa che non fosse già ritornato. Le sue ultime parole le avevano fatto intendere che non sarebbe stata lì ancora per molto. Da quando era arrivata era sempre stata trattata in modo diverso dalle altre cavie, e in più di un'occasione lui le aveva fatto anche delle avances. Grosse scarpe antinfortunistiche marroni attraversarono la stanza, la destra aveva uno squarcio sul lato.

Era tornato.

Lo sentì farfugliare parole incomprensibili, poi riuscì a vederlo per intero quando passò davanti alla sua cella, ignorandola, e dirigendosi al bancone dove preparava le sue pozioni. Non poteva vedere quello che stava facendo, ma dal suono intuì che maneggiava della carta.

Empowerment, Blank Slate SagaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora