10 Custode

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Erano le undici di sera a Telegraph Hill. Mentre pioveva a dirotto, un taxi si accostò al 298 di Chestnut Street, una strada in discesa che costeggiava un cancello nero.

Le portiere posteriori si aprirono e due donne scesero di corsa, riparate ognuna da un grande ombrello scuro, attente a non bagnare il mucchio di buste di cartone che portavano a fatica. Una delle due corse al cancello e inserì il codice per l'apertura posto sotto la maestosa insegna in ceramica "Highborn", mentre l'altra la seguì saltellando. Entrambe si spinsero oltre la cancellata per attraversare un giardino ben curato arrivando alle grandi scale patronali che conducevano a un porticato dietro cui sorgeva la grande villa bianca.

Una volta al riparo, le due si guardarono irritate e la più giovane parlò per prima.

«La prossima volta aspetteremo il bel tempo per ripartire. È chiaro, mamma?» protestò l'esile ragazza bionda, agitandole il dito davanti la faccia, mentre la madre era tutta intenta a chiudere l'ombrello bagnato.

«Come vuoi, Nicole, ma adesso smettila di lamentarti e sbrighiamoci! Tuo padre ci starà aspettando per cenare» le rispose dandole le spalle.

La figlia sbuffò. «Le luci in giardino sono di nuovo spente! Avevo detto a papà di accenderle per il nostro rientro, ho rischiato di sporcarmi le scarpe nel prato! Perché non mi dà mai ascolto?»

La madre, intanto, inseriva la chiave nella toppa.

«Ma la porta è aperta!»

«Come sarebbe?» chiese la ragazza, mentre sua madre si era già catapultata all'interno.

Entrando, Nicole alzò lo sguardo al soffitto decorato con riquadri e scanalature intagliate a mano nel legno di quercia, e notò tutti i faretti accesi. "Strano", pensò, conoscendo le abitudini del padre.

Sua madre salì i gradini di marmo bianco dell'ingresso che introducevano all'anticamera del primo soggiorno. «Alfred, ci sei?» chiamò a gran voce, poggiando le buste in un angolo. Poi si spogliò del soprabito.

«Sicura che sia a casa?»

«Vado a vedere di sopra...» rispose l'altra, salendo le grandi scale bianche corredate da un corrimano in ferro battuto.

«Ma sbrigati che ho fame!» borbottò Nicole. «Nel frattempo proverò i vestiti.» Superò l'anticamera dal pavimento a scacchi costeggiata da una serie di ritratti di famiglia.

Il primo raffigurava suo padre Alfred con il suo sorriso sfavillante in una veste lunga e grigia, che stringeva tra le mani un grande libro dalla copertina marrone. Nel quadro successivo era ritratta sua madre in veste retrò, una gonfia pelliccia beige le accarezzava il collo poggiandosi sulle spalle sinuose e uno chignon le teneva la chioma di capelli biondi alti e saldi sulla testa. Nel quadro successivo un suo ritratto. Sorrideva mentre un apparecchio dentale grigiastro le nascondeva le arcate bianche. Subito dopo l'ultimo quadro giaceva sulla parete; una grande foto mostrava tutti e tre i membri della famiglia, questa volta la piccola bambina bionda nel centro aveva le mani ai fianchi ed era felice. In tutti i ritratti i componenti della famiglia indossavano una spilla sul petto che raffigurava due lettere intersecate H e B, lo stemma familiare. Superata l'anticamera, Nicole si trovò nel grande salone e alzando lo sguardo si paralizzò. Le borse caddero sul grande tappeto grigio mentre il suo grido disperato riecheggiava per tutta la villa. Davanti a lei il padre, seduto sul divano con la testa poggiata di lato, privo di vita: gli occhi erano spalancati e il ventre lacerato, con il sangue che ancora colava lungo la tunica grigia che toccava il pavimento.

Nicole crollò sulle ginocchia e portò le mani al viso. In pochi secondi sentì i passi di sua madre scendere di corsa le scale. Le sue grida le tolsero il fiato e le spezzarono il cuore. Un tragico evento si era abbattuto sulla nobile famiglia Highborn.

Empowerment, Blank Slate SagaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora