Era tarda notte e Bridget era ancora sveglia. Scese le scale di legno scuro a passi lenti. Attraversò il soggiorno abbottonando con attenzione un cardigan nero, si fermò davanti all'ingresso di casa, si voltò nello specchio alla sua destra e guardò con attenzione il suo riflesso come se non l'avesse mai visto prima. Gli occhi le erano diventati lucidi, ma non pianse, non poteva. Si avvicinò di fretta alla porta e l'aprì appena. Restò alcuni secondi chinata stringendo forte il pomello, quindi si voltò lasciandola socchiusa e attraversò la stanza fermandosi sotto le scale. Alzò lo sguardo al pendolo affisso alla parete del salotto: due minuti al primo novembre. Deglutì e poi salì le scale andando a rilento mentre posava lo sguardo sulle foto di famiglia. Quando arrivò nella sua stanza, chiuse la porta e si avvicinò alla sua toeletta, aprì il primo cassetto e tirò fuori una scatoletta di legno scuro. Sopra vi erano intagliati nel legno ricami floreali, nel centro la scritta "noi". La strinse forte tra le mani e la portò con sé sul letto. L'aprì e ne estrasse una foto ingiallita dal tempo. Era una versione di sé di qualche anno più giovane, fotografata abbracciata a una donna in abito da sposa. Un tuono la fece trasalire, il rumore della pioggia arrivò forte e chiaro. Sfiorò con le dita la foto e poi la rimise al suo posto. Prima di richiudere la scatola allungò un braccio per aprire il cassetto del comodino. Infilò la mano tremolante al suo interno e afferrò una lettera.
"Per Amy."
La poggiò nella scatola e la richiuse. Afferrò il suo cellulare, pigiò un tasto per farlo illuminare, le ventitré e cinquantanove diventarono la mezzanotte del nuovo giorno. Bridget chiuse gli occhi e fece un lungo respiro: non ricordava di essere mai stata così agitata. Aveva lasciato di proposito le luci accese nel corridoio così da poter intravedere le ombre attraverso la porta.
Sperava di essere sola, ma sentì subito dei passi in avvicinamento e quando le ombre arrivarono, quella speranza si vanificò in un istante. La porta si aprì lenta: davanti a lei un uomo alto ed esile, la carnagione bianca e i capelli grigi si contrapponevano alla lunga tunica scura come la notte, ma quegli occhi di ghiaccio le incutevano lo stesso terrore di allora.
«Salve, Bridget.» L'uomo aveva una voce cavernosa.
«Sono passati venticinque lunghi anni... non c'è stato giorno in cui abbia vissuto illudendomi che questo giorno non sarebbe arrivato» affermò con tono serio.
«Beh, non è da tutti.»
«Ma non ti temo, lo sai. Non ho mai avuto paura di te, Dumah.»
«Mmm... è per questo che il tuo cuore non smette di palpitare così veloce? Stai sudando, Bridget» asserì avanzando verso di lei.
«Prima che tu lo faccia, voglio assicurarmi che sia fedele alla tua parte dell'accordo» obiettò stringendo la coperta tra le dita.
«Non ti agitare, Bridget. Io rispetto sempre gli accordi, lo sai. L'anima di tua figlia sarà finalmente libera, e tu... prenderai il suo posto» spiegò unendo le mani davanti al ventre.
«Non toccare mia nipote. Lei deve rimanere fuori da tutto questo» l'avvertì tremando.
«Bridget, se prendessi l'anima di tua nipote tutti i tuoi sforzi si vanificherebbero. Non mi importa di lei, a meno che... non le venga in mente di ficcanasare come fece sua madre a suo tempo. In quel caso, credo proprio che la ucciderò.»
«Morirò prima che lei possa sapere di te.»
«Allora non ci sarà margine di errore» rispose accennando un sorriso.
«Dov'è l'anima di mia figlia?»
«L'ho tenuta per tutto questo tempo.» Allungò una mano verso di lei e una sfera bianca incandescente si materializzò tra le sue dita.
Bridget trasalì, poi provò ad allungare la mano per prenderla.
«Ah!» Lui allontanò la sfera. «Non così in fretta... devo essere io a liberarla» spiegò scuotendo la testa.
«Come faccio a sapere che è l'anima di Elizabeth?» chiese tremando.
Dumah riavvicinò la sfera con cautela. «Allunga entrambe le mani, sfiorala... ma senza toccarla... Vedrai» le spiegò annuendo.
Bridget si asciugò le dita sudate sul cardigan, deglutì e avvicinò in fretta le mani attorno alla sfera. Mentre una lacrima le rigava il viso. «Elisabeth...» sussurrò.
Nel mentre, Harrison saliva le scalette del porticato di casa Foster. Era preoccupato. Amy non si era presentata al loro appuntamento. Non era da lei. Aveva passato quasi due ore ad aspettarla davanti alla caffetteria, e dopo cinque telefonate senza risposta aveva deciso di andare a casa sua, rischiando di incontrare la signora Bridget che lo avrebbe bacchettato perché avrebbe portato sua nipote in giro a tarda notte. Avrebbe preferito evitarlo, ma sparire non era da Amy. Doveva controllare.
Arrivato si affrettò a salire le scale del porticato.
"Forse ha solo perso il cellulare e non sapeva come avvertirmi..."
Alzò gli occhi e vide la porta di casa aperta. Si accorse che tutte le luci erano accese, si strofinò la mano sotto il mento e poi entrò. «Amy? Signora Bridget?» Gironzolò nell'ingresso, tutto appariva normale.
«Siamo soli?» domandò Dumah ritirando la sfera.
«Certo, non c'è nessuno in casa» rispose la donna.
«Non più» affermò lui. «Qualcuno è appena entrato.» Si avvicinò alla porta della stanza.
«Potrebbe essere Amy, sbrighiamoci, ti prego» suggerì la donna timorosa.
L'uomo si voltò e allungò la sfera, con l'altra mano fece un movimento rotatorio su di essa e l'anima uscì dalla sfera che si spense come una lampadina. Una ventata fredda si spostò nell'aria attraversando la donna e uscendo dalla finestra della camera da letto.
Bridget rimase senza parole, abbassò il capo stringendosi forte la mano al petto; aveva potuto percepire la presenza della figlia come se l'avesse riabbracciata forte.
«È ora...» l'avvertì Dumah.
Harrison iniziò a pensare che qualcuno avesse fatto del male ad Amy o a Bridget. Era successo qualcosa, ne era sicuro.
Salì le scale.
«Sei pronta?» chiese Dumah.
«Sono pronta» rispose calma Bridget.
Harrison aveva capito che Bridget non era sola, si avvicinò alla porta affrettandosi a sfilare il suo cellulare dalla tasca. 911 digitò sulla tastiera.
Dumah si avvicinò. «Riposa in pace, Bridget.»
Schioccò le dita e la donna cadde sul pavimento priva di vita.
Harrison deglutì allibito per le parole che aveva udito. Fece partire la chiamata.
L'uomo per un attimo guardò compiaciuto la sfera con il nuovo ospite, poi si voltò e spalancò la porta.
Harrison, terrorizzato, fece cadere il cellulare. «E tu chi sei?» esclamò tremante.
«Sono l'ultimo essere che vedrai.»
Harrison sgranò gli occhi.
Dumah schioccò le dita ancora una volta e un varco si aprì nell'aria davanti a loro.
Il portale cominciò ad attirare a sé tutto quello che lo circondava: Harrison scivolò lungo il pavimento, si aggrappò al cornicione della porta tentando di resistere al risucchio.
Il lampadario di cristallo nel corridoio esplose in mille pezzi, crollò sul pavimento risucchiato dal vortice.
Harrison si guardò le mani e vide che le sue dita stavano scivolando e sentiva che il suo volto sanguinava. Qualche prezzo di vetro gli aveva graffiato la faccia.
«Non resistere, non hai scampo» l'avvertì l'uomo nero prima di scoppiare in una risata malevola.
Le mani di Harrison cedettero, il ragazzo urlò e finì nel portale che si richiuse un attimo dopo. Dumah alzò le braccia al cielo e, sorridendo, svanì nel nulla.
STAI LEGGENDO
Empowerment, Blank Slate Saga
FantasíaIl mondo così come lo conosciamo, è frutto dello sviluppo della razza umana. L'universo della Saga, racconta di un mondo apparentemente identico, ma allo stesso tempo, dodici dimensioni alternative, frutto di una grande opera realizzata a protezione...