37. Mai Più Profezie [Parte 1]

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Era il dodici dicembre quando Nico riuscì ad organizzare la festa. In tutto quel lasso di tempo, i suoi amici erano stati troppo occupati con il lavoro, o con i bambini, oppure a partorire.

Mentre cercava una data che potesse andare bene per tutti, Nico ricordò un'altra festa, nell'estate dei suoi quattordici anni. Questa festa era stata organizzata da Will Solace, e aveva passato tutta la giornata in spiaggia con lui e i suoi sentimenti confusi. In quella splendida giornata di sole, Will gli aveva insegnato a nuotare e a fare surf, si erano baciati due volte, in acqua e nel capanno delle tavole da surf dei figli di Apollo - e in entrambi i casi, Nico ricordava perfettamente di aver tentato di fare del male all'altro, forse addirittura di ucciderlo - e gli aveva regalato la prima perla che portava ancora al collo.

Ricordava nei dettagli anche il giorno successivo, e il momento del suo saluto al Campo. E anche il suo ritorno, quello che lui e Will si erano detti nella Cabina di Ade, le chiacchiere nella doccia - Nico arrossì al solo ricordo di Will che entrava tronfio nella doccia con lui - e in seguito... be', il letto della sua Cabina ne aveva viste delle belle, quel pomeriggio.

Rosso come un peperone, Nico tornò a controllare se fosse tutto pronto per la festa. Erano solo le nove del mattino, ma presto gli invitati sarebbero arrivati.

Will aveva dovuto attivare ben quattro sveglie per alzarsi in orario quel mattino, ma non erano servite. Il cercapersone di Will aveva squillato tre volte poco dopo le sei, e si erano svegliati entrambi. Nico non aveva fatto nessun genere di commento mentre Will si scusava e si preparava in fretta per scappare in ospedale.

«Non starò fuori tutto il giorno, te lo prometto!» gli aveva gridato, prima di avviarsi alla macchina.

Nico si era limitato a borbottare e a sedersi sul divano in attesa che i figli si svegliassero, per avere almeno un po' di compagnia.

«Papà, ti sta squillando il telefono.» gli disse Christal, e Nico sussultò, lasciando cadere i piatti di plastica. La figlia aveva dei buoni riflessi - grazie agli allenamenti di baseball di Will - e riuscì a prenderli prima che toccassero terra.

«Hai visto chi è?» domandò Nico, tornando in soggiorno.

«No.»

Nico calpestò la macchinina telecomandata di Aaron - l'aveva fatta Leo - e finse di ignorare l'occhiataccia del figlioletto mentre rispondeva al cellulare.

«Ehi, amore.» lo salutò Will, e Nico riuscì a mettere a fuoco il suo volto solare, con tanto di bandana colorata che gli tratteneva la chioma bionda.

«Ehi, tesoro.» sbuffò Nico. «Tra quanto torni?»

«Direi per le undici. Un mio vecchio paziente si è ripresentato, e voleva solo me. Ho ancora un'oretta di operazione, e poi tornerò a casa. È già arrivato qualcuno?»

«No, non ancora, ma è presto.» Nico abbassò la voce. «Will, Aaron mi sta fissando male. Cosa posso fare?»

«Tu cosa gli hai fatto?»

«Penso di avergli rotto la macchinina telecomandata. Sai, quella che gli ha regalato Leo.»

«Ah, sì, la ricordo. L'hai proprio rotta?»

«Ha fatto crack quando gli sono passato sopra.»

«Perché gli sei passato sopra?»

«Per rispondere al telefono.»

«Ah.» Will ridacchiò. «Stai cercando di darmi la colpa?»

«Non ho detto questo. Cosa posso fare?»

Un gioco di luce in un mondo di tenebreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora