Capitolo Uno

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Odiavo volare

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Odiavo volare.

Odiavo quell'aggeggio infernale che stava ad altezze inimmaginabili mettendomi i brividi a mani e piedi, e che non mi permetteva di poter prendere un respiro o fumarmi una cazzo di sigaretta. Non osavo guardare fuori dal finestrino, tutte quelle nuvole, tutto quel cielo mi davano un senso di impotenza che mi metteva a disaggio.

Da piccolo i miei mi avevano portato con loro nei numerosi viaggi di lavoro, anche oltremare. Ore e ore senza poter fare assolutamente niente se non dormire scomodi e guardare la piccola tv per dimenticare a quanti chilometri di altezza stavamo, nella speranza che il cibo facesse meno schifo della volta precedente.

Avevo prenotato in prima classe, perché i miei genitori avevano fatto i soldi e io avevo tutte le intenzioni di beneficiarne, e le hostess mi avevano già portato due calici di champagne che avevo scolato insieme a una pillola di valium.

Una di loro, una biondina con una coda alta e un fisico perfetto fasciato dalla divisa, mi aveva lanciato più di un'occhiata ammiccante, ma ero talmente scosso dalle vertigini che avevo rinunciato all'idea di scoparmela a novanta dentro il bagno dell'aereo.

Quando il pilota iniziò l'atterraggio mi ritrovai a stringere i braccioli del sedile e a chiudere gli occhi come un cazzo di bambino spaurito. Solo quando si fermò riaprii gli occhi e sganciai la cintura velocemente.

Passò un'eternità prima che aprissero le porte e mettessero le scale, come se già quasi cinque ore di volo non fossero sufficienti. Presi il pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans e ne incastrai una tra le labbra, non vedendo l'ora di accenderla e farmi inebriare dalla nicotina.

La biondina continuava a osservarmi e adesso che finalmente eravamo a terra, feci scorrere i miei occhi su ogni angolo del suo corpo. Lo feci in modo sfacciato, prendendomi tutto il mio tempo, fino ad arrivare alle sue iridi azzurre che lasciavano tranquillamente leggere che intenzioni avesse. Indossai il mio ghigno da bastardo e quello bastò a farla parlare.

«Dove sei diretto?» mi chiese a bassa voce cercando probabilmente di non farsi sentire dai colleghi.

Presi la sigaretta tra le dita piene di anelli. «Folly Beach» risposi senza nessuna particolare intonazione nella voce.

Sfilai il cellullare dalla tasca, nonostante la compagnia era piacevole, volevo che si muovessero il culo e mi facessero uscire di lì. Riaccesi il telefono e trovai diverse chiamate e messaggi. Decisi di ignorare tutti e dire solo a Blake e Adam che stavo per arrivare.

La biondina mi si avvicinò come una gatta costringendomi ad alzare gli occhi dallo schermo. Sbatté le palpebre come un cerbiatto pronto a essere sbranato e con le sue unghie laccate di rosso mi prese il cellulare dalle mani e digitò qualcosa sullo schermo. La lasciai fare perché l'intraprendenza mi faceva eccitare non poco.

Quando mi ripassò il telefono incurvò le labbra in un modo provocante e stavo per dirle che forse potevo portarla con me per una notte nella mia villa, quando le porte si aprirono e l'aria fresca mi sferzò il viso facendomi ricordare le mie priorità: dovevo fumare.

Folly Beach. Attrazione DivinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora