Capitolo Ventuno

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«Che sono un figlio di merda lo sappiamo tutti» sbottai strafottente

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«Che sono un figlio di merda lo sappiamo tutti» sbottai strafottente.

E intanto pensavo. Mi dispiace, non volevo che Jo si facesse male.

Era come se mi fossi conficcato una lama nel petto, sentivo proprio un dolore fisico. La mia piccola Josephine poteva ingerire quella merda e io ero l’unico responsabile.

Ignorai i rimproveri dei miei, mia madre preoccupata, mio padre deluso, mi alzai e fuggii da quella conversazione, come fuggivo da ogni cosa.

Sbattei la porta, il respiro corto. Avevo bisogno di andare lontano da lì, così salii sulla Mustang e mi calmai un po’ solo quando il motore ruggì sotto il sedile. Uscii dal vialetto della villa e iniziai a percorrere le strade senza sapere esattamente dove stessi andando.

Ma andare via non stava comunque aiutando a svuotare la mia mente, il pensiero di mia sorella con l’erba tra le mani, il rischio che lei potesse stare male mi faceva andare in bestia. Strinsi le mani sul volante fino a far diventare bianche le nocche.

Cazzo.

Frenai bruscamente proprio a ridosso della spiaggia. Il mare era una tavola calma, illuminato dal sole del pomeriggio. In spiaggia non c’era molta gente, solo un paio di persone che giocavano con i cani e alcuni surfisti che non volevano abbandonare il mare nonostante non fosse la giornata ideale per surfare.

Cercai di calmare il respiro mentre osservavo quella distesa d’acqua che mi attraeva. Scesi dalla macchina, sbattei lo sportello per scaricare ancora un po’ di tensione e mi avviai verso il capanno che era parte integrante di quel paesaggio. Adam mi aveva detto che era il luogo preferito del suo gruppo di amici, che passavano i pomeriggi e le serate in quel capanno, ci aveva anche tenuto a sottolineare che a quattordici anni ci aveva perso la verginità con Madison in quel capanno.

Scossi la testa e sorrisi pensando al mio amico, anche se quella mattina mi aveva fatto incazzare anche lui.

Mi resi conto che non avevo neanche pranzato, ma gli eventi della giornata mi avevano chiuso lo stomaco.

Arrivai davanti al capanno, pronto a sedermi lì da solo e lontano dal mondo, per concedermi un attimo di pace, ma dovetti frenare bruscamente quando voltai l’angolo.

Seduta a terra c’era Astlyr che si abbracciava le ginocchia al petto e aveva il viso rivolto completamente verso il mare. I capelli corti erano messi dietro l’orecchio e lasciavano vedere la cuffietta. Era talmente persa nella musica e nel panorama che non si accorse di me fino a quando le mie gambe non si mossero e mi ritrovai a pochi centimetri da lei, tanto che se avessi mosso un piede avrei toccato le sue scarpe.

Folly Beach. Attrazione DivinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora