Capitolo Trentotto

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Varcai la soglia di casa nel tardo pomeriggio del giorno dopo che mi avevano pestato e trovai i miei genitori seduti sul divano, intenti ad aspettarmi

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Varcai la soglia di casa nel tardo pomeriggio del giorno dopo che mi avevano pestato e trovai i miei genitori seduti sul divano, intenti ad aspettarmi.

Mia madre stava per dirmi qualcosa, ma appena mi vide richiuse la bocca e, come aveva fatto Astlyr la sera prima, si portò una mano alla bocca.

«Non è successo niente» anticipai ogni loro domanda. «Non iniziate a stressarmi, che ho mal di testa.»

«Considerando come sei ridotto» intervenne mio padre alzandosi dal divano. «È un miracolo che tu non abbia una commozione celebrale.»

«Chi è stato?» chiese mia madre cercando di toccarmi il viso, ma mi scansai. «Dobbiamo sporgere denuncia.»

«Non dire stronzate» invii brusco. «Non dobbiamo fare niente.»

«Chi è stato?» ripeté mio padre con un tono più duro.

«Non lo so.» Feci per andare in stanza, la testa mi stava esplodendo.

Mio padre mi prese dal braccio. «Ti rendi conti in che condizioni arrivi a casa?» alzò la voce. «C’è tua sorella qui, ti sembra normale che ti veda in questo stato?»

Con uno strattone mi liberai dalla sua presa. «Non me ne frega un cazzo che sei deluso, lo capisci?» urlai anche io mentendo, perché vedere il viso di mio padre deluso era una stilettata al cuore.

«Hai lasciato Astlyr qui da sola per tutta la cena.» La voce di mia madre era fredda. «Non l’hai neanche avvisata tu che non saresti venuto.»

«Era con voi, non era da sola» dissi la prima cazzata che mi veniva in mente.

Non volevo pensare ad Astlyr, mi faceva male il petto ogni volta che il mio cervello mi rimandava il viso di lei freddo che si voltava e andava via.

«Ma senti cosa dici?» Mio padre aveva perso ogni pazienza, il tono della voce così forte che chiunque fosse passato da lì vicino lo avrebbe sentito.

«Non dovete rompere!» sbraitai tornando verso la porta.

Mio padre stava per urlarmi contro qualcos’altro, ma il pianto di Josephine ci interruppe.

In lacrime e singhiozzando ci raggiunse. «Smettetela subito» disse con la sua vocina delicata.

E vedere quegli occhioni azzurri pieni di lacrime fu come se qualcuno mi stesse stringendo il cuore in un pugno.

«Cosa hai fatto?» indicò la mia faccia tirando su con il naso.

«Nulla, tesoro.» Mi sforzai di sorridere.

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