Novembre IX

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Tom camminava al fianco di Bill, ogni tanto gli lanciava qualche sguardo velato, ma per il resto del tragitto guardò in basso e non spiccicò parola. Gli pesava una consapevolezza sul cuore, un qualcosa che gli opprimeva il respiro e gli dava i brividi, più del freddo insopportabile della lugubre mattina invernale:
"Georg ha passato l'inferno, ha affrontato i suoi genitori, i loro pregiudizi, il loro scetticismo. Ha affrontato il disprezzo, la rabbia, le lacrime trattenute, il nodo in gola, i pugni stretti fino a incidere la carne, le urla, gli occhi giudicanti, i pianti di colpevolezza, il sentirsi un errore, tutto...E io dov'ero? Io, che avrei dovuto essere lì a stringergli la mano, a spalleggiarlo, a fargli capire che io lo avrei sempre appoggiato, sempre aiutato, io dov'ero? Ero a casa, a mangiare pizza e bere coca cola, a divertirmi e a guardare quell'orrendo film per famiglie fingendo che mi fregasse qualcosa di tutto quell'affetto mostrato e non sentito, almeno, non sentito da me"

Tom affrettò il passo, non gli importava più di nulla, voleva solo vedere Georg, scusarsi magari. Sentirlo vicino, parlargli piano. Aveva bisogno di lui in quel momento.
Eccolo, all'ingresso, davanti al cancello, bello come sempre, persino con le occhiaie e il sorriso triste, persino con i capelli scompigliati, era comunque e incondizionatamente bello. Forse era la sua aurea a essere speciale, quell'alone dorato e argenteo che avvolgeva la sua figura, che si spandeva nell'ambiente circostante, che dava a ogni cosa un aspetto più vivo. Quella sua pelle pallida, le sue labbra appena rosate, le sue mani grandi, quei suoi occhi marroni e freddi, tanto freddi da sembrare a tratti grigi, appannati, stanchi, bellissimi.

Il ragazzo rimase incantato a scrutarlo un istante, abbastanza a lungo da restarne ammaliato, imprigionato nel suo fascino ultraterreno. Si riscosse solo quando Georg rivolse lo sguardo nella sua direzione, puntò gli occhi freddi nei suoi e non si sa da quale fonte di energia, dipinse sulle sue labbra un sorriso, uno vero. I due si avvicinarono, Tom si sentì immensamente in colpa al solo vederlo da vicino...ne aveva passate tante, si percepiva. Si capiva. Si poteva annusare nell'aria il tanfo di malessere e dolore sotterrato, nascosto. Gli prese le mani, strinse le sue dita con quelle grandi dell'altro e lo guardò dritto negli occhi.
-Georg...
-Tom...
-Scusa, scusami tanto io-
Una carezza, una mano calda e solitaria, un dito posato sulle labbra, i visi vicini, in contrasto. Un bacio delicato e veloce, espressione di amore, fedeltà, scuse e perdoni, di benessere puro, di semplice felicità. Un singhiozzo, tanti sensi di colpa, tanto dolore sentito ma non proprio, tanta sensibilità, tanta apprensione scaricata in un singolo singhiozzo.
-Non è colpa tua, va tutto bene. Non mi accettano? Sono problemi loro e loro soltanto, ok? Tom, guardami, sto bene. Sto bene.

Georg scandì le ultime parole come per imprimerle nella mente del ragazzo, forse per imprimerle nel suo stesso cuore per evitare di scordarle. Per non dimenticare che lui doveva stare bene, che finché ci credeva sarebbe stata la verità.
-Ma io ti ho lasciato solo...io sono stato un egoista.
-Tom...non importa! Non mi importa cosa avremmo dovuto fare, cos'era la cosa giusta, cosa sarebbe potuto accadere, questo meglio dell'altro. Non importa, è accaduto quello che è accaduto. Basta sapere che ora è tutto risolto, finito, ora va tutto bene.
-Va bene...ho capito, va tutto bene. Ho capito, scusa.
-Smettila di scusarti.
Arrossì.
-Scusa.
-Basta!
Incominciò a ridacchiare, per poi trasformare inconsapevolmente quel ridacchio compiaciuto in una vera e propria risata di gioia.

Al suono della campanella Tom entrò nelle classi, tutto procedette come di norma, nulla di anormale, si sentiva più leggero ora che aveva chiarito con Georg. Il peso che lo opprimeva era passato per lasciare al suo posto una pietra preziosa, luccicante, incastonata nel profondo del suo cuore, una pietra rossa come l'amore, grande come il suo affetto, insostituibile come lui.
Appena iniziata la seconda ora, la barbuta faccia del preside fece capolino da dietro la porta, portando il riso trattenuto e soffocato in quasi tutti gli studenti presenti nell'aula.
Eppure era molto serio, sembrava quasi afflitto da qualche pena interiore.
"Anche gli adulti soffrono, avrà problemi pure lui d'altronde"
-C'è Tom Kaulitz?
"Merda! E ora che cazzo ho fatto?"
Tom già pensava il peggio, e con buone ragioni, visti i pessimi voti dell'ultimo periodo. 
-Sono qui...
Disse svogliatamente e fingendo uno sbadiglio beffardo, come per prendersi gioco del pover uomo che si trovava davanti. Non proprio il comportamento più consono da tenere di fronte alla persona responsabile dell'intero istituto e da cui dipendeva la sua intera carriera scolastica. 

E così Tom seguì il preside, passarono nel laboratorio di biologia a prelevare Bill, lo guardò confuso, ma nemmeno lui sembrava capire nulla.
Capì molto presto.



"E così è morta...strano, pensavo che non avrei provato assolutamente nulla quando sarebbe accaduto e invece, qualcosa dentro di me accade. Sento quel luccichio amoroso farsi più brillante e venire più in superficie, percepisco la grigia pietra familiare, piena di buchi, graffi e contraddizioni cadere più in fondo, in un anfratto buio, nel quasi-dimenticatoio della mia mente. Pensavo che non avrei provato nulla invece le maree stanno cambiando, l'acqua si fa più limpida, ora posso guardare giù e vedere il fondo. Eccola, la vedo, è proprio caduta in basso, la vedo chiedere aiuto, dimenarsi e ora rimanere immobile, chiusa e senza fiato. Morta. Mi scruta con occhi spenti, mi guarda giudicante. Mi guarderà per sempre, e per sempre io la ricorderò."

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Noi due contro il mondo (Twins Kaulitz)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora