Capitolo Dodici - Angolo Di Pace

56 7 2
                                    

Se il sole si rifiuta di splendere
Ti amerei ancora
Se le montagne si sbriciolano nel mare, baby
Ci saremo ancora io e te
Gentile donna, ti do tutto me stesso
Donna gentile, niente di più
Piccole gocce di pioggia sussurrano del dolore
Lacrime di amori persi nei giorni passati
Il mio amore è forte, con te non c'è niente di sbagliato

Thank You - Jimmy Page e Robert Plant

Non stavo sognando. Era così raro che quasi non ci credevo. In quelle poche ore che io e Lara ci eravamo concessi per riposare, non stavo sognando nulla, un riposo tranquillo, senza che i miei incubi mi venissero a tormentare.

Però c'era comunque qualcosa che non andava, sentivo Lara agitarsi accanto a me, mormorare qualcosa. Aprii gli occhi nel buio della notte e mi voltai verso di lei. Era distesa a pancia in su, a pochissimi centimetri da me, il lenzuolo era aggrovigliato intorno al suo corpo. Più si muoveva più il lenzuolo sembrava volerla imprigionare. Girava la testa da una parte e dall'altra ed emetteva dei versi, come se volesse chiedere aiuto ma qualcuno la stesse privando della parola. Riconobbi quella sensazione claustrofobica perché mi faceva visita molto spesso.

Mi misi seduto. Guardarla mentre l'incubo prendeva il sopravvento fu come venire trafitto da un pugnale direttamente al cuore. Come se le torture che negli anni avevo compiuto si stessero riversando in quel momento tutte su di me. Perché potevo accettare di soffrire io in quel modo, lo meritavo, ma lei, lei no.

Allungai la mano verso il suo viso e le accarezzai la guancia.

«Lara» lo pronunciai piano, per non spaventarla di più.

La fronte era madida di sudore. «Ti prego, no» alzò il tono, c'era supplica nella sua voce. «No, no, lei no.»

Il groppo nella mia gola aumentò. «Lara, svegliati.» Le avvolsi il viso tra le mie mani. «Devi svegliarti, Lara» fui fermo e anche io alzai la voce, ma lei continuò a urlare a qualcuno di fermarsi, che non poteva farlo.

Deglutii a fatica mentre la scuotevo dalle braccia con delicatezza. «Lara, ti prego, svegliati.»

Sgranò gli occhi e li piantò sui miei, per un attimo si dimenò tra le mie braccia, e io la liberai subito, mi scostai un po' per permetterle di respirare.

Lara si sollevò a sedere, il respiro era affannoso, gli occhi lucidi. Mi uccideva vederla così e sapevo perfettamente cosa la portava ad avere quegli incubi. Dubitavo ne avesse parlato con qualcuno, e forse era proprio quello il problema.

Le avevo concesso i suoi spazi, non le avevo fatto domande anche se vedevo il tomento agitarsi nelle sue iridi, ma non aveva funzionato. Ero talmente abituato a tenere tutto dentro che credevo che anche lei volesse questo, quando forse sarebbe bastata una spinta ad aprirsi.

Aveva ucciso una persona e doveva farci i conti, doveva condividere quel peso con qualcuno.

«Sono qui» le sussurrai passando i polpastrelli sulla pelle delicata del suo viso.

Mi guardò un istante, poi portò lo sguardo altrove. «Mi dispiace» lo disse così piano che la udii appena.

E allora fu come se stessero stringendo il mio cuore in pugno.

Le presi ancora una volta il volto tra le mani, costringendola a guardarmi. Solo quando le nostre iridi furono incastrate tra loro parlai. «Te l'ho detto, non devi chiedere scusa, non a me, mai.»

Lara chiuse gli occhi e fu scossa da un tremito. «Forse per questo ho rimandato tanto...» tentò di spiegare. «Non volevo che mi vedessi in queste condizioni.»

SYS 3 - La società degli splendenti. Capitolo finaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora