Capitolo Trentatre - Corri

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Non so bene, non so dire dove nasca quel calore
Ma so che brucia, arde e freme
Trasforma la tua vita, no tu non lo puoi spiegare
Una sorta di apparente illogicità
Ti fa vivere una vita che per altri è assurdità
Ma tu fai la cosa giusta
Te l'ha detta quel calore
Ti brucia in petto
È odio mosso d'amore
D'amore guagliò

Curré curré guagliò - 99 Posse

L'urlo di esultanza di Stephan mi perforò il timpano, ma non poteva esserci suono più dolce in quel momento.

Avevamo appena consegnato l'ultimo carico di droga, e avevamo appena seminato l'ultima volante della polizia.

Correvamo come se ogni cosa fosse possibile.

Ed era in quei momenti, sopra la moto, con i miei compagni intorno, per le strade della nostra città, a provare a salvarla da sé stessa e dai pezzi di merda che la abitavano, con l'adrenalina che elettrizzava il mio corpo, che riuscivo a sentirmi veramente viva.

Avrei scritto un libro, così che tutti avrebbero un minimo compreso il perché di quello che facevamo. Mi sarebbe bastato che anche una sola persona si fosse avvicinata a capire le nostre motivazioni.

Il mare burrascoso e nero che ci accompagnava nel nostro cammino, i monumenti che si susseguivano sul lato apposto, il cielo della sera illuminato dai lampi sopra di noi, ogni strada, ogni vicolo, ogni mercato, ogni cultura che si respirava. Quello era il nostro motivo. Una città così bella meritava di essere salvata.

«Andiamo ad allenarci!» propose Davide.

Fummo tutti d'accordo e ci dirigemmo verso il capanno degli allenamenti proprio mentre iniziava a piovigginare.

Presto sarebbe venuto giù il cielo, perché a Palermo non pioveva spesso, ma quando lo faceva ci credeva davvero.

Ma a quel punto noi saremmo stati già al riparo alla nostra seconda base, la nostra seconda casa. Ad allenarci per bruciare quell'adrenalina che ancora dopo il colpo non si era scaricata.

Mi lasciai la città alle spalle e imboccai l'uscita che portava al capanno, quella strada di campagna, di sera e con la pioggia era un po' lugubre.

Mi resi conto che qualcosa non andava quando avvistai il capanno. C'erano delle auto. Tante auto.

«Tornate indietro!» Raffaele lo urlò negli auricolari, ma era troppo tardi, eravamo già a pochi metri dal capanno.

«I Serenusa ci hanno scoperti, sono al capanno!» La voce di Daniele era irriconoscibile, distorta dalla rabbia e dalla paura.

«Emily va via, subito!» Mia sorella non era ancora arrivata e non avevo alcuna intenzione di vederla in un'imboscata.

«Troppo tardi, sorellina, non vorrei mai perdermi il divertimento.» E fermò la moto proprio accanto alla mia.

«Lo avevo detto che bisognava mettere degli allarmi!» si lamentò Raffaele.

Potevo sentire i gemelli e Silvia smanettare sui pc.

«Come avete fatto a saperlo senza allarme?» domandò Maria.

«Ci sono comunque le telecamere d'emergenza, no?» domandò Alex speranzoso.

«Dobbiamo sapere quanti sono» anche Christian si posizionò accanto a noi.

Pian piano arrivarono tutti. Un branco di moto pronte ad agire.

«Stiamo guardando proprio quelle» ci avvisò Silvia. «Ma sembrano tanti, troppi.»

«Lara, Adriano ci ha avvisato, i Serenusa si stanno muovendo da soli, sta mandando anche i Mersiglia, gliela facciamo discutere tra loro?» la domanda di Daniele mi arrivò quasi ovattata.

La mia mente si era concentrata sulla prima parte: Adriano li aveva avvisati. Il mio Adriano.

Presi il telefono dalla tasca e trovai cinque chiamate perse e altrettanti messaggi suoi. Aveva cercato di chiamarmi, di avvisarmi del pericolo.

Proprio mentre leggevo i messaggi mi chiamò di nuovo.

«Pronto?» risposi abbassando la voce, senza pensarci un attimo.

«Cristo, stai bene?» era terrorizzato.

«Sto bene» lo rassicurai. «Tu dove sei? Cosa stai facendo?»

Non venire qui fu quello che non dissi, sperando che lo leggesse tra le righe.

«Io sono in auto, sto già arrivando e anche Francesco con gli altri, dovete andarvene di lì, sono troppi, lascia che me ne occupi io» mi implorò mentre sentivo in sottofondo il ruggito della sua auto.

«Stanno distruggendo tutto...» la voce di Daniele era quasi un sussurro, come se non riuscisse a credere a ciò che stava vedendo in quelle telecamere.

«Lara?» mi richiamò Adriano.

Ma io non potevo andarmene, non potevamo lasciare che la nostra base venisse distrutta senza agire.

«Adriano, io non posso andarmene, non possiamo.» Sperai che capisse cosa significassero quelle parole.

Noi non scappavamo davanti al pericolo, non eravamo topi in fuga, noi ci buttavamo dentro per proteggere ciò che era nostro, tuta la nostra vita.

Per un attimo non sentii più la voce di Adriano, tanto che pensai che avesse interrotto la chiamata, poi lui si limitò a dire, con quello che mi sembrò un pizzico di orgoglio: «Sto arrivando.»

E sapevo che era inutile provare a convincerlo a non farlo, a non mettersi ancora in pericolo. Come me, lui non poteva farne a meno.

«Ti aspetto.»

Chiusi la chiamata, guardai i miei compagni intorno a me, nei loro occhi la stessa espressione di rabbia.

Non avremmo lasciato che distruggessero il nostro lavoro, che l'avessero vinta. Non in casa nostra.

Abbassai la visiera e gli altri mi imitarono. «Ragazzi» dissi ai gemelli e a Silvia. «Aspettiamo un vostro segnale per muoverci, dovete essere i nostri occhi.»

«Come sempre!» affermarono all'unisono i gemelli e alla loro voce si unì quella più acuta di Silvia.

Ed eccoci lì, pronti a scatenare l'inferno su quei demoni che avevano invaso il nostro territorio.

SpaIo autrice ✨

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SYS 3 - La società degli splendenti. Capitolo finaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora