Capitolo Sedici - Raggio Nelle Tenebre

50 7 1
                                    

Respiro aria pulita che alimenta
Il fuoco dentro di me
E lascio che mi uccida
Io rinasco dalla mia cenere
Per non vedere più mia madre stanca
Ridarle indietro il dono della vita
Spaccarmi schiena, mani, gambe e braccia
Essere fiero della mia fatica
E pure Dio era girato di spalle mentre
Gli dicevo che stavo cadendo
Ma basta un raggio di sole

Il dono della vita – Måneskin


Il sangue non andava via.

Bevvi tutto d’un sorso il liquido ambrato. Era il terzo bicchiere di whisky.

Tornai a strofinare forte le mani sotto l’acqua, ma continuavo a trovare macchie. Sembrava non volermi abbandonare. Stavo strofinando così forte da lasciare segni rossi.

Mi guardai nel piccolo specchio sopra il lavandino, la mia pelle era cinerea, sembravo un cadavere ambulante.

Chiusi gli occhi senza smettere di fare scorrere l’acqua e subito le iridi di quell’uomo vennero a perseguitarmi.

L’avevo fatto picchiare fino a fargli perdere i sensi, ogni mia parola un colpo inflitto dai miei uomini o da quelli di Serenusa.

E proprio perché lo avevamo fatto nel covo di quest’ultimo, avevo mantenuto la maschera da boss spietato e senza emozioni con molta più concentrazione del solito, non avevo potuto tentennare, ripensarci, dovevo farlo e basta, dovevo farlo per mantenere quella messinscena, per colpirli tutti e molto più a fondo.

Ma questo non mi consolava affatto.

Quando Matteo era rinvenuto mi aveva trovato proprio davanti a lui e i suoi occhi si erano spalancati in una paura cieca, aveva provato a sbraitare ma non gliel’avevo permesso, avevo fatto un cenno a Salvo e Vincenzo e loro lo avevano tenuto fermo, così gli avevo tranciato la lingua di netto. Il mio biglietto da visita per i traditori, quello per il quale ero conosciuto nel giro.

Un lavoro perfetto, come tutti quelli in cui mio padre mi aveva reso il migliore. Ma non era stato comunque abbastanza e lo sapevo, sapevo che quella sera sarei dovuto andare fino in fondo.

Così, dopo che quel poveretto era svenuto un’altra volta e rinvenuto, con le mani ancora imbrattate di sangue, senza neanche aver usato i guanti perché sapevano di debole, come se non mi facesse nessun ribrezzo avere quel liquido viscido addosso, quell’odore metallico che mi perforava le narici, lasciai il mio posto a Francesco. Mio fratello aveva guardato l’uomo con un sorriso da sadico e gli aveva puntato la pistola sulla tempia mentre quello piangeva e si dimenava come un topo in gabbia.

Ma non c’era via di fuga. Così avevo pronunciato quelle parole: “Hai tradito i Mersiglia, e ora pagherai con la vita.”  Come in un vecchio film di Al Pacino. E un mio solo cenno con il mento aveva messo fine alla sua vita. Francesco aveva sparato proprio in mezzo agli occhi e tutti avevano visto come i Mersiglia trattavano i traditori.

E quella volta più delle altre, non era servito a niente ripetermi che quel morto era stato un assassino anche lui, un mafioso, come tutti gli altri. Lo avevo sacrificato per mantenere il mio status, perché non era lui che aveva avvisato la polizia, ero io che avevo avvertito la SYS. E se solo uno dei presenti quella sera lo avesse saputo, legato a quella sedia, ci sarebbe stato il mio corpo, torturato e senza un minimo di dignità neanche nella morte.

E in quel preciso istante pensai che lo avrei preferito, avrei preferito essere ammazzato piuttosto che dover ripetere un’altra volta quelle azioni, piuttosto che sentirmi come se mi avesse investito un treno ad alta velocità.

L’ho fatto per prenderli tutti nel momento giusto, per fare sì che nessuno debba passare quello che ho passato e sto passando io, Ma quei pensieri non mi aiutavano.

SYS 3 - La società degli splendenti. Capitolo finaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora