11- Senza provare dolore

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Quando arrivai in quel posto depresso che sapeva di medicinali mi strinsi fra le mie lacrime credendo di essermelo meritato. Forse era così, forse me lo meritavo, mi meritavo quel dannato dolore.

Non lasciai mai il polso, lo tenni sempre stretto con la mano destra per proteggerlo e mentre mi crogiolavo nel dolore vidi seduta a fianco a me una bambina che doveva solo fare una visita.

Ci guardammo in silenzio negli occhi mentre io piangevo e lei cercava riparo nella solitudine.

Le chiedevo aiuto in ogni modo sperando che questo bastasse, le chiedevo di restare con me a tenermi la mano perché non volevo essere sola, come lo ero sempre stata.

Volevo che fosse lì a rassicurarmi o per lo meno volevo qualcuno che fosse lì a rassicurarmi.

Poi spostò lo sguardo e tornai di nuovo a essere sola. Ci chiedevamo entrambe cosa avessimo fatto per essere lì, ci chiedavamo con gli sguardi cosa ancora avremmo dovuto sopportare per gli errori degli altri.

Il mio polso aveva una forma strana, sembrava l'onda di un mare, di un mare lontano e profondo. Un mare senza una fine, per poter entrare, perdersi e non tornare più.

Mi chiamarono e quando mi alzai iniziai a tremare.

Piansi a dirotto e feci di tutto per proteggermi il polso, non volevo che nessuno lo toccasse o che lo sfiorassero.

Il dolore di quella persona che ci era caduto sopra mi aveva terrorizzato, e chiunque provasse a sfiorarlo avevo paura che mi facesse del male. Avevo paura a essere toccata e quando il dottore mi fece segno di allungarlo verso di lui tremai e piansi disperatamente.

Voleva toccarmelo e vedere quanto fosse grave ma avevo paura, ero così terrorizzata come un cane che aveva paura di essere ancora bastonato.

<< Non aver paura, non ti farò del male. >> Mi disse per convincermi ma non volli dargli retta. Tenni il polso schiacciato contro il mio petto ma la sua mano fece di tutto per portarlo a sé.

Chiedevo aiuto e sentivo il dolore, che tutti dicevano che meritavo, scorrermi nelle vene.

E mentre piangevo me lo ingessarono e quando pronunciarono la parola "ricovero" mi dimenai con forza gridando di non voler restare lì. Piansi e volli scappare, non volevo restare sola, volevo solo tornare a casa.

Mi accompagnarono in camera e quando vidi quel letto in mezzo alla stanza monotona e triste mi guardai attorno per trovare qualcuno a cui chiedere aiuto, cercai qualcuno che fosse lì pronto a tenermi la mano, qualcuno che mi volesse bene e che si preoccupasse per me. Volevo solo qualcuno che per una volta scegliesse me al posto di tutto il resto.

Restai immobile sulla soglia tenendomi stretto il polso e poi entrai.

Sarei stata in quella stanza, che ritenevo una prigione, per molto tempo e sarei stata lì, sola, a guardare fuori dalla finestra e a sentire il tempo che passava.

Di giorno restavo a letto, guardavo la tv, l'unica cosa che riusciva a non farmi pensare al dolore, poi a volte insieme a mamma uscivamo dalla stanza e facevamo il giro dell'ospedale. Non parlavo con nessuno, restavo in silenzio e mi crogiolavo nei miei pensieri.

Poi di notte non dormivo, guardavo il soffitto con le lacrime agli occhi e potevo stare sola in una posizione a causa del gesso.

Nessuno mi era venuto a trovare, nessuno, né la mia famiglia né altri. Della mia migliore amica non c'era traccia, non gliene fregava niente, stavo gridando in una stanza sola a causa del dolore ma non gliene fregava niente. Né le mie amiche che conoscevo da sempre né le mie sorelle.

Burning in hellDove le storie prendono vita. Scoprilo ora