27- Saranno i farmaci

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" Le stelle mi sono sempre sembrate vicine, così vicine che se allungavo la mano verso il cielo e miravo ad una di esse riuscivo a toccarle. 
Spostavo leggermente il mio dito e la luce spariva, ma quando poi riappariva il buio non sembrava più così buio.
Ora che invece sei una di quelle sei lontano, così lontano che non mi sembra nemmeno di riuscire a vederle. Una stella così lontana e luminosa che ho paura che nessuno possa notare o che possa scomparire prima ancora che io la noti. 

Certe volte però quando le stelle brillano poco nel cielo, ne vedo una. Una luminosa, una grande e luminosa, l'unica. Tu. 

Credevo che almeno mi avresti visto con un anello al dito dal momento che tutto andava bene, e che quindi forse in qualche anno io e Aiden avremmo capito che non avremmo più potuto vivere senza l'altro.

Invece mi hai lasciato prima, in quel corridoio avrei dovuto capire che non saresti tornato per sorridermi un ultima volta, che forse lottare non era abbastanza. Che forse lottare non sarebbe mai stato abbastanza. 

Fa ridere, proprio come avevi detto tu, io ero quella che poteva vivere ma che voleva morire, e tu eri quello che doveva morire, che voleva vivere e che alla fine è morto. 

Ci pensi mai a cosa avremmo fatto o quanto avremmo riso dopo che saresti tornato da me? Ci pensi mai che ti avrei rinfacciato a vita di avermi fatto stare in ansia come non mai? 

Ma pensi mai alla promessa che mi hai fatto? Pensi mai, anche se lassù, a non dimenticarti di me?

Perché io ci penso, ogni giorno, ogni istante, ogni secondo da quando il tuo cuore ha smesso di battere. 

Da quando non ti ho più visto tornare. Da quando il mio cuore si è fermato per poi ripartire debole. Da quando ho perso te e dopo l'unica persona al mondo che amavo con ogni singola cellula del mio corpo. 

Ci pensi mai? Pensi mai a me? 

Oppure oltre a dimenticare di lottare, hai dimenticato anche me. "

La mia matita non riuscì più a scrivere nulla. Si fermò attaccata al foglio dopo che avevo messo un altro punto nella mia vita. 

Provai a scrivere qualcos'altro, ma non mi venne in mente niente. 

Chiusi il quadernetto e lo rimisi sotto il cuscino. Ero in ospedale, su un letto, in una stanza orribile, e l'unica cosa a cui pensavo era come continuare a vivere il secondo dopo e a non mettere un punto a quella vita per sempre. 

<< Ti ho portato qualcosa da mangiare. >> La voce carina di Momo comparì con lei nella stanza e chiuse la porta dietro di sé tenendo un vassoio in mano. 

Mi fece un sorriso dolce per rassicurarmi e si venne a sedere sul bordo del letto tenendo il vassoio sulle gambe. 

<< Ti va di mangiare? >>

Feci una smorfia e voltai lo sguardo. << Devi mangiare Evelyn. >> 

<< Non voglio mangiare! >> Risposi con rabbia. 

Volevo solo chiudere gli occhi e non riaprirgli più. 

Lei restò in silenzio a fissarmi e dopo un po' ricercai i suoi occhi. << Voglio che torni qui. >> Ammisi a tono basso. 

<< Chi dei due? >> 

Alzai le spalle. << Entrambi. >> 

A volte anche lei mi guardava con pietà, e ogni volta che lo faceva la rimproveravo, non volevo che mi guardasse così, odiavo chi mi guardava così. 

Burning in hellDove le storie prendono vita. Scoprilo ora