13- Non è in vendita

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Pov's Aiden

La testa mi esplodeva dal male e sentivo ancora l'alcool nelle vene. Non mi preoccupava più di tanto la sbornia, mi preoccupavano più gli effetti del dopo.

Quando aprii gli occhi non riuscivo neanche a capire dove mi trovassi.

Ero su un cazzo di divanetto e la stanza intorno a me iniziò a farsi più chiara.

Il collo mi faceva male e sentivo un peso sul mio corpo che mi impediva di alzarmi.

Avevo una ragazza addosso e quando mi accorsi che non era Evelyn la cosa mi diede fastidio.

Spostai il suo braccio che mi stringeva la vita e lei iniziò a svegliarsi. Quando alzò lo sguardo mi vide e sorrise come se già si fosse etichettata come mia.

<< Spostati. >> Le dissi quando provai a ricordare tutto ciò che era successo e sperando che nulla di quello a cui stavo pensando fosse davvero successo. 

<< Che cazzo ti prende? >> Mi rispose massaggiandomi il petto.

<< Nulla, spostati. >>

Provai ad alzarmi e alla fine si levò da sopra di me. Riprese la borsetta, la sua giacca e si sistemò i capelli.

<< Vado in bagno a sistemarmi, dopo mi dai un passaggio? >>

Mi guardai intorno e pensai a come andarmene da lì. C'erano bottiglie rotte e vuote ovunque. Persone che dormivano o che si riprendevano dalla serata, canne fumate a terra e sporcizia ovunque.

Cosa cazzo era successo?

Cercai il cellulare e alla fine mi resi conto di avercelo in tasca.

Lo tirai fuori ma non si accese perché la batteria era scarica. << Merda. Non è possibile. >>

Poi mi ricordai di Evelyn e della sera prima. Non mi ero presentato a casa sua e sicuramente ora era incazzata. Perché non ci ero andato, cosa mi passava per la testa?

Mi girai, ma un pugno mi arrivò di colpo come un treno sulla mandibola. Quando poi mi voltai per vedere chi fosse imprecai tra me e me. << Cazzo Evelyn. >> Mi toccai la mandibola e sentii poi la pelle che un po' sanguinava. 

Come le sue nocche, che erano rosse per la forza che ci aveva messo. Si era proprio impegnata per tirarmi quel pugno, più di quando ci allenavamo in palestra.

<< Questo è per avermi attaccato il telefono in faccia, per avermi trattato male, per non essere venuto alla cena e per aver anche solo creduto di poter giocare con me. Ti avevo avvisato, te ne saresti pentito. >> La guardai dritta negli occhi e notai la sofferenza. Notai in fondo a quelle sue iridi lucide, la sofferenza.

<< Credi che prendermi a pugni serva a qualcosa? >>

<< Non saprei, ma ne è valsa la pena. >> Serrò le labbra e il suo sguardo mi fece capire il suo odio per me. Perché sotto sotto mi odiava, mi odiava perché ero bello e dannato, mi odiava perché non riuscivo ad amarla. Mi odiava perché la condannavo ad un amore meraviglioso ma impossibile, ad un amore che dalla forza della sua intensità non sarebbe stato altro che una dritta condanna a morte. 

Non volevo che le accadesse qualcosa per colpa mia o che il nostro amore fosse per lei una condanna a morte, non potevo permettermi di perderla ma al momento non c'erano altre soluzioni per tenerla lontana dal dolore. E per questo mi odiava e basta.

Mi avvicinai a lei e mi concentrai sul suo collo. Lentamente feci qualche passo avanti ma lei con lo sguardo mi minacciò di starle lontana e poi provò a tirarmi un altro schiaffo che però fermai bloccandole il polso con la mano.

Burning in hellDove le storie prendono vita. Scoprilo ora