30. Katharina

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«Sai che dobbiamo parlare?»
Nonostante Nikolaus avesse posto quella domanda in tono dolce, tutte le mie terminazioni nervose si drizzarono in allerta.
Ovviamente sapevo che avevamo delle questioni in sospeso, ma ciò non significava che non mi mettessi sulla difensiva nel momento in cui si veniva al dunque.
«Okay, facciamo questa cosa.» Risposi con un sospiro, spingerlo a parlare era l'obiettivo che mi ero prefissata quella mattina per la seconda volta in due giorni, però non mi ero aspettata una resa così veloce.
«Perché non mi hai detto che tuo padre ha il cancro?»
In un momento, divenni di ghiaccio.
Tutte quelle terminazioni nervose che fino a quel momento prima erano all'erta, ora sembravano incanalare il gelo che sentivo pervadermi e impedirmi il movimento.
Fissai Nikolaus con gli occhi sgranati mentre provavo a dire qualcosa, lui mi restituì lo sguardo per qualche secondo poi si alzò per dirigersi alla porta e chiuderla.
Qualche secondo dopo, mi alzai di scatto voltandomi verso l'uomo che ora aveva una mano sprofondata nella tasca del pantalone nero che indossava. Non prestai attenzione a quel gesto, ero troppo impegnata a capire cosa volessi effettivamente fare con quello scatto.
C'era un sottile senso di nausea che era giunto improvviso ad attanagliarmi e che minacciava di farmi soccombere alle vertigini nel giro di qualche secondo.
«Siediti, Katharina, non intendo lasciare la questione in sospeso.»
Non avevo mai sentito Nikolaus così serio, neanche quando ci eravamo scontrati ferocemente. Feci un paio di respiri profondi per tenere a bada la nausea e, sotto gli occhi scuri e attenti dell'uomo di fronte a me, mi sedetti di nuovo.
Con un gesto rigido ma continuando a scrutarmi dall'alto in basso, si appoggiò alla scrivania. Odiavo quella posizione, ma non era il tempo né il luogo per discutere anche di quello.
«Te l'ha detto Jakob?» Riuscii a balbettare con voce malferma, senza tuttavia credere alle mie stesse parole. Era impossibile che Jakob mi avesse tradito in quel modo, se avesse voluto, lo avrebbe fatto già da tempo. Quasi a confermare i miei pensieri, Nikolaus scosse la testa prima di decidersi a spiegare.
«Ti ho seguito in ospedale.»
Quella frase accese una scintilla di rabbia che bastò a scuotermi e a cacciar via qualsiasi malessere mi aveva assalito. Potevo passare sopra qualsiasi sia cosa, ma non su una violazione della privacy.
«Bene. Allora non c'è altro da aggiungere.» Sibilai velenosa incrociando le braccia davanti al petto, qualsiasi idiota con un minimo di nozioni di psicologia avrebbe detto che il mio linguaggio del corpo gridasse chiusura verso l'argomento, ma, in quel momento, non mi preoccupai troppo. Anzi, volevo che capisse quanto fossi incazzata.
Nikolaus alzò un angolo della bocca quasi si stesse prendendo gioco di me e quello fu il gesto che mi fece scattare di nuovo. Per la seconda volta in pochi minuti, mi alzai dalla seduta - dovevano esserci delle molle sotto la pelle scura di cui era rivestita, altrimenti non si spiegava - e mi diressi verso la porta solo per trovarla bloccata.
«La chiave rimane qui finché non abbiamo chiarito.» Dichiarò Nikolaus senza smuoversi di un millimetro, ma sventolando l'oggetto tra noi due solo per posarla, qualche secondo dopo, sul legno dietro di lui.
«Questo si chiama sequestro di persona.» Berciai di nuovo verso di lui. Se avessi potuto stenderlo con un solo sguardo, a quest'ora Nikolaus sarebbe stato stecchito al suolo.
«Chiamalo come vuoi, rimane il fatto che da qui non ci muoviamo.»
Non ebbe neanche il buon senso di scusarsi, davvero credeva di essere nel giusto?
A mente fredda potevo anche essere disposta ad ammettere che parte della colpa era mia, visto che avevo tergiversato nello spiegargli la situazione, ma quel gesto così invasivo mi mandava in bestia. Senza contare il fatto che, se i rapporti si fossero limitati a rimanere quelli tra datore di lavoro e sottoposto, non sarei stata neanche tenuta a riferire nulla finché avessi rispettato il mio contratto di lavoro.
Ma Nikolaus era anche mio amico e, per rispetto verso quel sentimento, non potevo esimermi.
«Puoi rimanere anche in piedi per quanto mi riguarda, ma credo che parleremmo meglio da seduti.» Aggiunse qualche secondo dopo senza schiodarsi da quella maledettissima posizione.
«Io non ho nulla da dirti.» Ribadii caparbiamente, peccato che, nel pronunciare quelle parole, comunque feci come mi aveva detto. La situazione non era destinata a risolversi subito, quindi tanto valeva mettersi comodi e infastidirlo il più possibile.
«Davvero hai pensato di dovermi tenere nascosta una cosa del genere?»
Il tono era tornato quello morbido con cui aveva posto la prima domanda che aveva scatenato questo disastro, ma io ormai ero sulla difensiva.
«Non l'ho tenuta nascosta.» Lo interruppi subito neanche avesse appena detto che aveva intenzione di uccidere un cane.
«E io ho due teste. Dai, Katharina, non insultare la tua intelligenza.» Disse chinandosi verso di me e poggiando le mani sui braccioli della poltrona, chiunque ci avesse visto in quella posizione non avrebbe mai pensato a un litigio in corso. «Vuoi sapere cosa penso io? Penso che tu non me l'abbia detto perché tu non ti apri con nessuno. Fai talmente fatica a concedere anche le più piccole briciole di te che è come se avessi un'armatura intorno a te.»
«E l'hai capito in così poco tempo? Complimenti.»
Ero una stronza, su questo non c'erano dubbi, ma quella situazione era già di per sé scomoda, l'ultima cosa che mi serviva era sentirmi vulnerabile. Quando mi sentivo in quel modo tendevo ad attaccare e, no, non c'entravano le briciole di cui stava parlando l'idiota davanti a me, ero semplicemente fatta così.
«Avrei dovuto accorgermene prima, ma mi mancavano alcuni pezzi.»
«E ora li hai tutti?» Alzai il viso verso di lui, eravamo così vicini che mi sarebbe bastato sporgermi di qualche centimetro per baciarlo. Cacciai via quel pensiero, io e Nikolaus eravamo solamente amici e tali saremmo rimasti. Per di più, stavamo litigando, non era di certo il momento di pensare a cose romantiche.
«No, ma ne ho abbastanza per rendermi conto di quanto hai sofferto, di quanto stai soffrendo. E, maledizione, lo stai facendo da lo sola perché pensi di non poterti fidare.»
«Non è vero.» La mia voce non era mai suonata così flebile, ma Nikolaus stava andando a colpire proprio i punti giusti, quelli destinati a far male a lungo, e, per aggiungere la beffa al danno, lo stava facendo con le migliori intenzioni. Mentre sostenevo lo sguardo color giada dell'uomo davanti a me, sentii gli occhi pizzicare ma lottai con tutte le mie forze per non lasciar trasparire altro che rabbia. Non avrei pianto. Non in quel momento, non davanti a lui.
«Non fai entrare nessuno nella tua vita, Katharina, e forse lo fai perché in passato sei stata ferita o forse no, ma ti prometto che ti dimostrerò che con me puoi essere tutto ciò che vuoi, anche la donna fragile che si nasconde sotto la maschera e che si preoccupa per il padre e che non ti giudicherò mai.»
«Quindi secondo te adesso dovrei raccontarti anche quante volte vado in bagno?»
Più lui addolciva tono e parole, più io mi chiudevo.
Non c'era nulla da fare, era più forte di me.
Nikolaus poteva guardarmi con quello sguardo dolce e rivolgermi quelle parole che in altre occasioni avrebbe mi avrebbero fatto sciogliere finché voleva, ma io, in quel momento, non ero predisposta ad ascoltare nulla che andasse al di là di... non lo sapevo nemmeno io. A quel punto volevo solo concludere il discorso, afferrare le cuffie e andarmene a casa senza neanche far finta di inventare una scusa.
«No, ma puoi cominciare lasciando che ti accompagni da tuo padre dopo il lavoro. Se non vuoi dirmi null'altro va bene, ma lascia che faccia almeno questo per te.»
«Non mi pare di avere scelta.» Non gli avrei mai permesso di farlo, ma se non avessi dato la parvenza di una resa non ci saremmo schiodati da qui e, sinceramente, non credevo di avere le forze per parare quei colpi-non-colpi. Come si dice a una persona che quelle parole dette per aiutare, non facevano altro che ferire?
Nikolaus prese le mie parole come una battuta e, dopo uno sbuffo divertito, si sollevò dalla posizione che aveva assunto prima, afferrò la chiave e andò ad aprire la porta.
«Prego milady, ora ha facoltà di scappare dal brutto orco cattivo che l'ha rinchiusa nella sua caverna.» Accompagnò quelle parole con un mezzo inchino giocoso di sicuro volto a dissipare un po' della tensione, io però non risi.
«Visto che qualcuno ha deciso che devo comunicare di più, io vado a prendere una maledettissima boccata d'aria e voglio stare da sola, poi deciderò se sono disposta a lavorare oggi.» Dissi una volta davanti a lui. In un nanosecondo avevo mandato in vacca gerarchia lavorativa, buon senso e qualsiasi briciolo di compostezza ancora in piedi.
Nei suoi occhi lampeggiò un qualcosa che assomigliava vagamente al senso di colpa, ma non me ne curai e attraversai la distanza tra me e l'ascensore che, con mia grande soddisfazione, era solo un piano più in basso.
«Katharina.» Mi richiamò subito dopo, ma io mi stavo già infilando dentro quella trappola di metallo chiamata ascensore. Nikolaus però fu altrettanto veloce e, mentre le porte già si richiudevano, anche lui sgusciò dentro.
Per l'ennesima volta nella mattinata, gli scoccai un'occhiata al vetriolo.
«Ho detto di voler star da sola è inutile che...»
«Scusa.» Pronunciò di getto facendomi zittire, non mi aspettavo quelle scuse. «Ho girato troppo il coltello nella piaga, volevo davvero parlare senza litigare.»
Istintivamente, sbuffai. Qualcuno avrebbe risposto che la strada per l'Inferno è lastricata di buone intenzioni, ma io avevo dato fondo a qualsiasi voglia di discutere ancora.
Portai la mano verso la borsa con l'intenzione di prendere le cuffiette - mancavano pochi piani e finalmente sarei riuscita a stare da sola per qualche minuto - ma, nel compiere quell'azione, mi resi conto di aver lasciato la borsa alla scrivania. Feci un altro gesto stizzito che fece sorridere l'uomo davanti a me, di sicuro aveva intuito cosa stavo cercando.
Nikolaus fece per dire qualcosa e, a giudicare dall'espressione che aveva in volto, ero pronta a scommettere che fosse qualcosa di scherzoso, ma un brusco rumore meccanico catalizzò tutta la nostra attenzione. Subito dopo, il trabiccolo di metallo sobbalzò cogliendoci di sorpresa e minacciando di farci perdere l'equilibrio, tuttavia entrambi fummo abbastanza veloci da afferrare il corrimano per sorreggerci.
Realizzai con un momento di ritardo cosa stesse accadendo, Nikolaus invece fu più veloce di me perché, quando lo guardai allarmata con il panico che si faceva subdolamente largo dentro di me, aveva già gli occhi fissi su di me e stava studiando ogni mia reazione.
«Si è bloccato.» Mormorai nel pallone, la sensazione di annegare che si stava facendo sempre più persistente.
«Kat, non andare nel panico, sono sicuro che tra qualche momento riprenderà a funzionare.» Nikolaus mi fece staccare la mano ancora saldamente incollata al corrimano, avevo le nocche bianche per la forza con cui lo stavo stringendo. «Lascia stare quel povero pezzo di ferro, non ti darà tanta soddisfazione quanto stritolare la mia mano.» Continuò modulando la voce in un basso tono rassicurante.
«No-non funziona esattamente così.» Deglutii cercando di sciogliere il grosso groppo di paura che si era formato in pochi secondi. Con il cuore tanto in tumulto da sembrare un tamburo impazzito, mi guardai intorno nella vana speranza di trovare qualcosa che potesse far tornare a funzionare l'ascensore. «Non mi calmo a comando.»
«Lo so, sei un piccolo drago sputafuoco.» Sollevò la mano che stavo stringendo spasmodicamente come se fosse la prova di quanto tempo e, nonostante il respiro affannoso e le gambe tremolanti, un piccolo sorriso mi spuntò sul viso.
«Nik?» Lo chiamai sentendomi instabile, temevo di crollare a terra da un momento all'altro. «Ho bisogno di sedermi.»
«Okay.» Una punta di panico apparve nei suoi occhi, ma scomparve con la stessa velocità mentre mi accompagnava a sedermi sul pavimento dell'ascensore e lui si accovacciava con me. «Prova a respirare con me, ti va?» Mormorò poggiando le mani sulle mie gambe come per tenermi ancorata a terra.
Per quanto ci provassi, mi sembrava di non riuscire a inalare abbastanza aria e quindi il risultato di quel tentativo furono solamente una serie di respiri irregolari e affannosi. Nulla che potesse davvero calmarmi, insomma.
«Aiutami a capire cosa può farti stare meglio, Kat.» Le sopracciglia aggrottate rendevano chiaro quando si stesse preoccupando.
«Musica.» Risposi chiudendo gli occhi e poggiando la testa al metallo dietro di me. «Ho bisogno di musica.»
Qualche secondo dopo li riaprii solo per trovare Nikolaus che mi fissava a metà tra il perplesso e lo scettico, ma poi, quando cominciavo a pensare che non mi avrebbe preso sul serio, tirò fuori il cellulare e, qualche secondo dopo, partì una canzone che non riconobbi.
Ancora una volta, la musica si dimostrò mia fedele amica e anche questa volta riuscì a mitigare il terrore che l'immobilità del macchinario mi dava. Nikolaus tenne gli occhi fissi su di me passando al setaccio ogni mio cambiamento. Ero più calma di prima ma non si poteva dire che fosse tutto passato.
«Vieni qua.» Mi tirò verso di lui finché non fui quasi spalmata su di lui, nonostante la situazione schifosa, Nikolaus era caldo e, attraverso gli strati di vestiti, potevo avvertire quel tepore. Non feci in tempo a scostarmi che avvolse le braccia intorno a me e aggiunse: «Chiudi gli occhi, prova a pensare di non essere in ascensore.»
Facile a dirsi, come si dimentica una paura?
«Scusa.» Sussurrai facendo come mi aveva detto, così da vicino potevo sentire l'odore di colonia maschile che ormai associavo a lui. «Odio questi trabiccoli.»
«Non scusarti, non è colpa tua.» Seguì uno sbuffo divertito, chissà cosa aveva pensato. «La prossima volta però prendiamo le scale.»
Scoppiai a ridere scostandomi da lui e portando una mano alla bocca, solo quando smisi realizzai che parlare con lui e non focalizzarmi sul fatto che quel maledettissimo ascensore non si stava muovendo funzionava.
«Puoi continuare a parlare, per favore? A quanto pare mi aiuta.» Lo guardai implorante, non che ce ne fosse davvero bisogno, Nikolaus non mi avrebbe lasciato annegare nel panico, neanche dopo un litigio feroce come quello che avevamo concluso.
«Hai presente venerdì sera quando mi hai chiesto se ero geloso? Ci hai preso in pieno.»
Il mio cuore saltò in gola, davvero voleva parlare di quello dopo tutte le emozioni della mattina?
«Io non voglio una relazione in questo momento della mia vita.» Dissi di getto esternando ciò di cui ero fermamente convinta. Nik non si fece cogliere di sorpresa.
«Immaginavo mi avresti detto una cosa del genere e va bene così, voglio solo che tu sappia che non devi sentirti in imbarazzo per questo, non cambierà assolutamente nulla tra noi.»
Quasi mi misi a piangere, fino a quel momento avevo temuto di aver incrinato il nostro rapporto, ma, nel sentire quelle parole, mi rincuorai: Nik aveva capito. E non c'era neanche bisogno che puntassi il dito sulla mia situazione familiare.
Lì, seduti sul pavimento di un ascensore fermo, sentii il petto scaldarmisi di gratitudine.
Sì, doveva essere per forza gratitudine.
«Ora ho due curiosità per te e ti avverto che, se quelle porte si apriranno prima che tu abbia finito di raccontare, ci andremo a prendere qualcosa e concluderai il discorso.» Mi puntò contro un dito, a quel punto eravamo tornati alle posizioni originarie, seduti uno di fronte all'altro mentre aspettavamo che qualcosa accadesse. «Come mai sei così legata alla musica?»
Per fortuna, aveva virato verso domande più facili da affrontare, non ero sicura di poter reggere altri argomenti seri.
E la giornata non era neanche a metà!
Anche se, forse, da questa in particolare sarebbe rimasto deluso.
«Non c'è un motivo specifico, sa tenermi compagnia quando sono sola ma sa anche consolarmi e tirare su di morale. È un po' come correre da un vecchio amico e rifugiarsi tra le sue braccia sapendo che il resto del mondo non potrà scalfirmi. Ecco, la musica per me è questo e forse non sarà un metodo infallibile per affrontare la vita, ma, al momento, non ho trovato di meglio.»
«Beh, almeno non sono alcool o droghe.»
A mia discolpa, ci provai davvero a non ridergli in faccia, ma aveva avuto un tempo comico impossibile da ignorare.
«Io davvero non so come ti vengano.»
«Beh, sta funzionando, no? Ti ho fatto ridere.»
Portai una gamba sotto all'altra per assumere una posizione più comoda e aspettai la seconda domanda che non tardò ad arrivare.
«Quindi la musica è tua fedele compagna, e delle trecce che mi dici?»
«Queste?» Ne afferrai una portandola in avanti, ad appoggiarsi sul decolté. Nik fece un cenno d'assenso e io continuai: «Non mi piace avere i capelli sciolti, ormai neanche ci penso più e le faccio in automatico.»
«Quindi non c'è speranza che ti veda con i capelli liberi da tutti quegli intrecci?»
La prima risposta che mi venne in mente fu solo se mi porti a letto, ma, visti i recenti sviluppi, non mi parve il caso di girare il coltello nella piaga così mi morsi la lingua e mi limitai a scuotere la testa in un cenno di diniego.
«Kat...» Mi chiamò Nikolaus già pronto a dirmi qualcosa, ma non seppi mai fosa perchè in quel momento ci fu un altro suono meccanico, che mi fece saltare di nuovo il cuore in gola, e poi l'ascensore ripartì.
Spspirai di sollievo alzandomi in piedi, finalmente saremmo usciti da lì dentro.
«Vedi? È andato tutto bene.» Sorrise ora piu rilassato e, afferrandomi una mano, mi trascinò fuori dal trabiccolo di acciai. Prevedibilmente, ad attenderci trovammo una piccola folla di persone e l'operaio che aveva prodotto il piccolo miracolo di rimettere in funzione il marchingegno. Ci toccò rassicurare tutti sul fatto che stessimo bene e questi, dopo qualche minuto, si dispersero lasciando me e Nikolaus nella hall dell'edificio.
«Grazie.» Dissi a quel punto richiamando la sua attenzione. «Senza di te non so come sarebbe andata.»
«Felice di esserle stata d'aiuto, milady» Era buffo quando assumeva quella finta aria solenne, ma il sorriso dolce che gli spuntava ogni volta era impagabile. «Non ci pensare, Kat, è stato un caso e mi assicurerò che non ricapiti ancora.» Fece un cenno verso le porte in vetro che davano sull'esterno. «Direi che ci siamo meritati un caffè o qualcosa del genere, che ne dici?»
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Perché non ho spezzato il capitolo in due ancora non me lo spiego ma meglio per voi che avete un capitolo super denso😈 che ne pensate?

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Giorgia

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