34. Nikolaus

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Roma non mi era mancata, o almeno questo era ciò che avevo creduto finché non avevo rimesso piede nella succursale romana e non avevo rivisto tutte le facce familiari che mi avevano accompagnato per anni.

Il primo impatto fu di distacco, ma più i minuti passavano, più mi immergevo di nuovo nelle chiacchiere e più la nostalgia si insinuava in me. Ma, ora che ero tornato a Berlino, non avrei mai scambiato una capitale per un'altra.

E poi, non avrei mai lasciato Katharina, ormai mi ero abituato ad averla sempre intorno, a lavorarci insieme e non avrei scambiato quello per nulla al mondo.

Ma chi volevo prendere in giro? Non era solo la chimica sul lavoro che non volevo perdere, era tutto di lei.

Anche quando reagiva male per chiudersi a riccio e distaccarsi quando sentiva che stava diventando troppo.

Ero propenso a pensare che quella paura di concedere parte della sua fiducia fosse dettata da una qualche ferita passata. Una storia finita male? Un'amicizia naufragata per qualche pugnalata alle spalle? Qualsiasi ipotesi era valevole, per quel che ne sapevo.

«Tra quanto arriva De Santis?» Domandai in inglese, era più comodo che stare a tradurre avanti e indietro dall'italiano all'inglese. Guardandomi intorno, notai quanto quelle quattro pareti, che avevo occupato fino a poco tempo prima, fossero cambiate: Simone non era mai stato un tipo particolarmente ordinato e quell'apparente confusione si rispecchiava ora nel disordine che ci circondava. Katharina aveva addirittura dovuto spostare un plico di fogli sulla poltrona che ora stava occupando, conoscendola stava facendo di tutto per reprimere l'impulso di riordinare tutto.

«Una decina di minuti, forse. Di solito è in anticipo quindi anche meno.» Simone usò la mia stessa lingua e, quasi a confermare le sue parole, qualche secondo dopo ci avvisarono che De Santis stava salendo.

Ad apparire al piano non furono, come mi ero aspettato, entrambi i fratelli, ma solamente Domenico De Santis che mise piede nell'ufficio con il suo passo sicuro e, a tratti, strafottente neanche fosse il padrone del mondo. Individuò subito Katharina e, anche se non si precipitò subito da lei, i suoi occhi si accesero di interesse.

«Non pensavo di trovarla nella mia città, signorina Werner.» Disse quando le fu davanti passando dal nativo italiano a un fluente tedesco. Katharina nonfece una piega, anzi, sul suo volto apparve un sorriso di circostanza che nulla aveva a che vedere con quelli che faceva quando sorrideva davvero, e rispose mostrando un certo distacco:

«È stata una decisione dell'ultimo momento.»

Avevo già avuto modo di vedere come Katharina quasi si trasformasse in situazioni al di fuori della sua comfort zone, ma non riuscii a non stupirmi di quel piccolo ma importante mutamento.

«Se il suo capo non si è accaparrato tutta la sua attenzione, mi permetterà di portarla a scoprire qualche luogo nascosto in città?»

Ormai non c'erano più dubbi, De Santis ci stava provando con Katharina senza mostrare la benché minima oncia di pudore.

Mi faceva rabbia non poter dire nulla, ma se l'avessi fatto, come minimo Katharina mi avrebbe staccato gli attributi. Non che, nel caso, avrebbe avuto torto, era una donna indipendente e capace di fare ciò che voleva, non aveva bisogno di qualcuno che le dicesse cosa fare.

«In realtà, ho già promesso di farlo con il signor Mayer.»

Anche nei vestiti casual che aveva indossato per viaggiare riusciva a essere quasi irraggiungibile, e quelle parole non facevano altro che confermarlo. Diamine, se, nella privacy dell'ufficio, non avessi visto una Katharina diversa, avrei creduto anche io che fosse tanto bella quanto distaccata.

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