39. Katharina

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«Perché non sali con me oggi?»

Nikolaus mi guardò come se non sapesse se prendere la domanda sul serio o se considerarla come un delirio di qualcuno che, secondo lui, accusava ancora la malattia appena passata.

Era stato una spina nel fianco fin dal momento in cui mi aveva visto dietro la scrivania, con l'attenzione catalizzata sullo schermo del computer e un caffè quasi freddo che attendeva solo di essere bevuto. Se avessi dato ascolto a lui, sarei rimasta a casa per l'intera settimana solo per quella che, infine, si era rivelata un'innocua sfebbrata forse causata dalla stanchezza del viaggio e dall'innegabile sbalzo di temperatura tra una città e l'altra.

Nikolaus era stato dolce nel suo preoccuparsi, ma non ero fatta per l'inattività e già, convinta dalla sua insistenza, mi ero presa l'intera giornata di ieri per esser sicura di aver recuperato tutte le forze. Una volta sceso a patti con il fatto che non sarei tornata a casa neanche sotto minaccia di licenziamento, tutto era andato avanti come da routine, compreso l'accompagnarmi al Charité come aveva cominciato a fare da quando la verità era venuta a galla, almeno finché non avevo pronunciato quella domanda.

«Per fare cosa?» Il cipiglio confuso sul suo volto era tanto buffo quanto tenero.

«Beh visto che insisti a portarmi avanti e indietro, direi che è arrivato il momento di conoscere mio padre.» Replicai con una scrollata di spalle. Ormai ci pensavo da un po' ed ero consapevole di star facendo passare una cosa, che molti avrebbero considerato intima, come qualcosa di meno importante di quanto io stessa la percepissi. Anche Nikolaus dovette dare a quella domanda apparentemente casuale un certo peso perché tentennò tanto che mi affrettai ad aggiungere: «Non devi per forza dirmi di sì.»

«E se invece volessi dirti di sì?»

Perché non aveva risposto subito di sì, allora? Non avevo il potere di leggergli la mente e non avrei mai osato tirare a indovinare su un argomento così importante.

«Allora non c'è problema, non ti pare?» Ribattei scendendo dalla macchina, se fossi rimasta ancora lì dentro in attesa di una risposta avrei ceduto all'imbarazzo che mi stava assalendo.

Ultimamente succedeva spesso che mi ritrovassi a ponderare di più i miei gesti per chiedermi cosa ne avrebbe pensato Nikolaus o che arrossissi al pensiero di fare qualcosa con lui – cose innocenti, che avrebbe fatto qualsiasi coppia innamorata ai primi appuntamenti.

Nikolaus mi seguì subito, non sembrava ancora del tutto convinto ma lo fece comunque e si fermò solo davanti alla porta aperta della stanza di mio padre.

«C'è una persona che devi conoscere.» Cantilenai precedendo Nikolaus. Non appena mi vide, mio padre mise via il libro che stava leggendo e si aprì in un sorriso stanco.

Con un colpo al cuore, notai quanto questo sembrasse sciupato, oltre che esausto. Quel peggioramento nel suo aspetto doveva essere una mia suggestione, d'altra parte, tra il viaggio e Roma e la febbre subito dopo, non lo avevo visto per qualche giorno, era normale che il distacco mi colpisse. Ciò che di sicuro non fu solamente una mia impressione, fu la stretta più debole delle sue braccia intorno al corpo, ma quello non era il momento di soffermarsi su qualunque elucubrazione, avevo qualcuno da presentarsi e quella persona stava aspettando solo che sciogliessi quel momento intimo.

«Papà, Nikolaus. Nik, mio padre.»

Il cipiglio interrogativo, che mio padre aveva assunto vedendo il mio amico sostare sulla soglia della camera, si distese.

«Adam Werner, piacere di conoscerti.» Tese la mano verso Nikolaus che, avvicinandosi, gliela strinse accompagnano il gesto con un cenno del capo. Poi mio padre tornò a rivolgersi a me. «Me lo porti a far conoscere dopo esservi fatti un viaggetto in solitaria a Roma, devo dedurre che sia successo qualcosa?»

Armonia di sogni e speranzeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora