12. Katharina

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La camminata che mi portò dalla fermata all'asettico elegante edificio del Charité passò sulle note di Midnights di Taylor Swift che avevo cominciato ad ascoltare già quella mattina ma che ultimai proprio qualche secondo prima di fermare la riproduzione, abbassare le cuffie per portarle intorno al collo ed entrare nella stanza di mio padre.

La cappa di preoccupazione che l'aveva avvolto nei giorni precedente sembrava starsi diradando man mano che il tempo intesseva le sue trame, forse era davvero ansia per l'esito delle analisi, forse lo sguardo severo che Baumgarten aveva gli indirizzato il giorno precedente non dipendeva da qualcosa che non mi stava dicendo. Volevo convincermi di quella cosa ma in fondo sapevo che si andava apparecchiando qualcosa di spiacevole.

Mio padre mi accolse con il sorriso sul volto e, non appena mi accomodai sul bordo del letto -lui occupava infatti la sedia che ero solita accaparrarmi io-, chiese:

«Allora, come si è comportato oggi il figlio di Jakob? Devo chiamarlo per lamentarmi?»

«Stai fermo tu e fai stare fermo anche l'amico tuo che già voleva dire al figlio della tua condizione e l'ho fermato.» Dissi subito puntandogli l'indice contro, ci mancava solo che ci si mettesse anche lui proprio quando Nikolaus Mayer stava cominciando a mostrare la buona volontà di trovare un punto d'incontro!

«E perché?» Domandò infatti lui incrociando le braccia davanti a sé.

«Non credo avrebbe fatto una buona impressione se la prima cosa giunta alle sue orecchie fosse stata una raccomandazione. Con Jakob era diverso, lui ha visto nascere e svilupparsi il tutto, anche volendo, non avrebbe potuto mettere in discussione nulla. Nikolaus Mayer invece è all'oscuro di tutto e così deve rimanere almeno finché non avrò dimostrato anche a lui che so essere un elemento valido.» Ribattei piccata, dallo sguardo severo di mio padre presagivo già che la replica che avrei ricevuto non mi sarebbe piaciuta.

«Io credo invece dovresti dirglielo.» Perfetto, già cominciavamo bene. «Le analisi e le immagini dalla TAC che, tra parentesi, sono arrivate questa mattina, mostrano una situazione stabile ma in futuro ti succederà di doverti assentare dal lavoro da un momento all'altro, è inutile che ignoriamo questo fatto, e in quei casi il tuo capo saprà ricondurre il tuo comportamento al mio tumore. Se invece non glielo spieghi potresti ottenere proprio ciò che vuoi evitare, ovvero di fare una cattiva impressione.»

«Per il momento non è capitato altro che aver preso qualche permesso qui e là.» Ribattei subito piccata. Tutto quello che mio padre aveva detto era vero, su una cosa però non ero d'accordo: rischiare l'effetto opposto. La mia vita privata non aveva mai inciso sul mio rendimento a lavoro e finché rispettavo le norme contrattuali, nessuno aveva il potere di sindacare su alcunché.

«E in futuro?»

Lo guardai perplessa non capendo subito a cosa si stesse riferendo.

«Quando la situazione si aggraverà, e lo farà, come ti comporterai?» Chiese ancora quando rimasi in silenzio.

Quell'insistenza su quell'argomento in particolare mi preoccupava anche se in realtà non mi sarei dovuta insospettire, era normale affrontare quei discorsi quando qualcuno vicino a noi aveva un cancro inoperabile, ma probabilmente non stavo prendendo bene il cambiamento in azienda e l'idea di un'altra cosa in procinto di mutare mi spaventava più del dovuto.

«Non lo so, probabilmente gli dirò tutto.» Concessi infine dopo qualche momento di silenzio agitandomi sul posto.

«E allora perché non farlo adesso?»

Io ebbi appena il tempo di replicare brevemente con un secco:

«Perché non è il momento.»

Dopo di che Sarah venne a interromperci e noi considerammo chiusa la conversazione.

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