28. Nikolaus

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Il silenzio ci fece da compagno per tutto il tragitto dall'azienda all'ospedale, Katharina non era intenzionata ad aprire bocca e io stavo cercando un modo per chiederle spiegazioni senza turbarla.

Ero riuscito a mantenere la calma quando mi aveva detto la sua destinazione, ma continuavo a cercare un motivo valido. La prima cosa a cui avevo pensato era stato il padre, ma lo avevo scartato subito: non avrebbe avuto motivo di non dirmi anche quel particolare quando me ne aveva parlato. Quindi quella possibilità era da escludere.

Forse mi stavo fasciando la testa prima di rompermela, poteva trattarsi semplicemente di qualche controllo, ma non riuscivo a scrollarmi di dosso la sensazione che non fosse nulla di ordinario, non avrei visto tutta quella reticenza altrimenti.

«Grazie davvero per il passaggio.» Borbottò Katharina quando parcheggiai davanti all'entrata dell'edificio. «Ci vediamo più tardi.»

Per la seconda volta quel giorno, la fermai. Non volevo andarmene senza aver sciolto il dubbio che mi aveva attanagliato durante tutti gli ultimi minuti.

«È per te?» Domandai quando lei si voltò di nuovo verso di me. Nonostante cercasse di apparire tranquilla, c'era della rigidità nella sua postura, che non l'aveva abbandonata neanche per un istante da quando era salita in macchina. Ipotizzavo fosse dovuta alla chiacchierata che avevamo in sospeso, perché sapevamo entrambi che prima o poi avremmo dovuta affrontarla, mi bastava vedere come ci eravamo interfacciati oggi per capire che quella situazione non poteva prolungarsi troppo.

«Cosa?»

Non credetti neanche per un secondo che non avesse capito a cosa mi riferivo, ma specificai comunque.

«La visita in ospedale.»

«Devo andare.» Mormorò aprendo la portiera della macchina e sparendo senza darmi tempo di fare alcunché.

Spiazzato, rimasi immobile senza riuscire a processare poi scesi anche io e scattai dietro a lei. Se Katharina mi avesse risposto non mi sarebbero venuti dubbi, invece quella fuga così strana e improvvisa non facevano che acuirli e spingermi a fare una cosa che, altrimenti, non avrei mai fatto.

La seguii rimanendo a qualche passo di distanza fino agli ascensori, sarebbe bastato che si fosse voltata e mi avrebbe visto, invece lei non lo fece e solamente davanti alla scatola di latta, come lo chiava lei, mi dovetti mimetizzare per non attirare la sua attenzione. Conoscendola, non avrebbe preso bene il mio gesto e la situazione, già tesa per ciò che era rimasto in sospeso, sarebbe degenerata ancora.

Con il cuore che aveva preso a battere a un ritmo maggiore del normale, tenni d'occhio il progredire dei numeri sul display al di sopra delle porte e, non appena riuscii a prenderlo, premetti il tasto corrispondente.

Una volta al piano, mi si presentò un nuovo problema: non sapevo dove andare. Notai subito che al piano c'erano molte più persone d quante me ne sarei aspettate e la maggior parte di queste non avevano un'uniforme, le cose erano due: o mi stava dicendo un'incredibile sfiga o era l'orario di visita.

Per non fare la figura dello scemo che rimane impalato come un allocco, mi avviai lungo il corridoio facendo finta di avere una meta precisa, in realtà stavo tendendo le orecchie nella speranza di riconoscere la voce di Katharina. L'impresa si rivelò più ardua del previsto perché solo quando mi concentrai per trovarne una in particolare, mi resi conto della moltitudine di toni e somiglianze sonore che mi circondava.

Ero quasi a metà del corridoio quando, finalmente, riconobbi la risata ormai per me inconfondibile della mia amica. Mi fermai di botto indeciso su come agire, ma la voce maschile e anziana che parlò subito dopo mi sollevò dal prendere quella decisione.

Ero un idiota.

Sapevo già che andava dal padre quasi ogni giorno, da lì a fare due più due avrei dovuto metterci un attimo, eppure ero stato tanto scemo da non arrivarci.

Feci dietrofront mentre una scintilla di rabbia si accendeva nel mio petto. Che Katharina fosse oltremodo riservata, me ne ero accorto già da tempo, ma quell'omissione – forse insignificante – mi ferì più di quanto potessi in alcun modo prevedere.

Non era obbligata a dirmi tutto, non lo era stata nemmeno quando mi aveva accennato del padre, ma avvertivo una sensazione bruciante di tradimento che in quel momento non mi consentiva di ragionare con la dovuta lucidità.

Uscii dal parcheggio dell'ospedale con la rabbia che correva veloce sottopelle, stavo finalmente collegando tutti i puntini e se le spiegazioni, almeno quelle basilari, non le potevo avere da Katharina, c'era comunque qualcuno che era stato a conoscenza di tutto fin dall'inizio.

E il bello era che mi aveva lanciato segnali fin dall'inizio.

«Domani mattina sei a casa?» Chiesi a bruciapelo non appena mio padre rispose, solo dopo aver posto la domanda feci mente locale: per fortuna non avevo in programma nulla che non si potesse rimandare e in un paio d'ore l'azienda non sarebbe scoppiata, senza contare che ci sarebbe stata Katharina. Potevo incazzarmi quanto volevo sul piano personale, ma nulla avrebbe minato la fiducia e la stima che avevo di lei come professionista.

«Sì, è successo qualcosa?» Perché ovviamente quelle visite – e chiamate - così improvvise potevano significare solo che qualche variabile imprevista si era inserita in qualsiasi cosa gli dovessi parlare e che avevo bisogno di un confronto o un aiuto.

«Devo parlarti di Katharina.»

Probabilmente non si aspettava quelle esatte parole, perché rimase in silenzio per qualche secondo e poi chiese senza la consueta sicurezza: «Di quello che è successo venerdì?»

Magari, la situazione sarebbe stata di gran lunga meno complicata e avrei saputo come gestirla, bastava fare una semplice chiacchierata. Il fatto che io avessi tergiversato tutto il giorno invece di prendere la questione di petto e affrontarla, era un altro discorso.

«No. Sapevi che suo padre è in ospedale?» Il silenzio seguì le mie parole e, vedendo che non si decideva a dire nulla, aggiunsi: «Papà?»

Ci mise ancora diversi secondi a trovare le parole giuste, o forse stava solamente cercando il modo migliore per parlarne

«So tutto di Adam, ma credo sia meglio se ti spiego a voce.»

Il tono grave che usò quasi mi sconfortò e per un momento mi chiesi se non stesse ingigantendo la cosa, ma, nella fretta di seguire Katharina, non avevo fatto caso in quale reparto si fosse diretta e quindi mi ritrovavo senza avere la più vaga idea su ciò che mi avrebbe detto l'indomani.

«Quanto è brutta?» Premetti per un breve momento pollice e indice sugli occhi, solo per tornare a guardare la trada il secondo dopo. Improvvisamente mi sentivo esausto.

«Non è bella, questo è certo, ma, davvero, ne parliamo domani.»

Una cosa era certa, nonero in grado di affrontare Katharina quella sera.

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Sarà mica ora che Nik scopra tutto? Ma la vera domanda è: come reagirà Kat alla scoperta che lui sa?

Prossimo aggiornamento: Mercoledì 22 maggio

Giorgia❤️

Armonia di sogni e speranzeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora