46. Nikolaus

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Quando la sveglia suonò la mattina dopo, tutto sembrò essere filato per il meglio: non eravamo stati svegliati da chiamate improvvise e Katharina non era piombata sconvolta in camera mia.

Aveva insistito per dormire da sola e io mi ero visto costretto a scendere a compromessi, era già una vittoria che avesse acconsentito a rimanere senza fare troppa resistenza. E che si fosse lasciata prestare dei vestiti senza insistere per andare a prendere i suoi.

Pur senza aspettarmi una risposta positiva, avevo comunque provato a proporgli di dormire insieme, da una parte lo già fatto a Roma e non era successo nulla, dall'altra sapevo di star ascoltando quella vocina paranoica che temeva di non trovarla ancora lì quella mattina.

Ancora in pigiama, mi affacciai alla porta di Katharina, l'aveva lasciata aperta, e il cuore, di colpo, accelerò il suo ritmo. Della donna che, secondo le mie previsioni, doveva essere ancora dormiente non c'era traccia.

Lanciai un'occhiata veloce allo schermo del cellulare e confermai quello che già avevo pensato: dormigliona com'era, le possibilità che Katharina fosse già in piedi alle sei e quarantacinque erano pressappoco nulle.

Ancora stordito da quella bruca scoperta, presi un respiro profondo e mi ripetei che non era il caso di perdersi subito d'animo, Katharina poteva essere in bagno, in cucina o in qualsiasi altro posto nell'appartamento.

Con la speranza appena riaccesa, mi misi a cercarla solo per trovarla qualche momento dopo sul divano, che dormiva placidamente.

Mi guardai intorno alla ricerca di qualche indizio circa il momento che l'aveva spinta ad abbandonare il tepore delle coperte in piena notte e a rifugiarsi sullo scomodo divano. Non ne trovai, tutto era esattamente come l'avevamo lasciato la sera prima, quindi non mi rimaneva che ipotizzare che la causa fosse da ricercare negli eventi del giorno precedente.

Rincuorato al fatto che non fosse fuggita come la volta precedente, mi sedetti sull'altro lato del divano e la osservai.

Era raggomitolata sotto una delle coperte che tenevo sempre di scorta ma l'espressione tradiva una certa agitazione anche nel sotto.

Ovviamente non era venuta da me quando i demoni erano venuti a tormentarmi, per quanto si stesse aprendo, non potevo pretendere che d'improvviso condividesse tutto e subito. In quel momento, Katharina dava l'impressione di essere stanca anche mentre era assopita. L'avrei volentieri lasciata dormire tutto il giorno, forse non era il caso che venisse a lavoro, anche se avere la testa occupata le avrebbe fatto bene.

E poi, io non potevo mancare un'altra volta.

Se l'avessi lasciata sola però mi sarei preoccupato.

Ma una soluzione c'era ed ero sicuro che avrebbe trovato d'accordo anche Katharina.

Lasciai che dormisse e mi andai a vestire, quando tornai di là avevo indosso degli indumenti comodi, nulla a che vedere con i soliti completi che usavo per il lavoro. Tornai a guardare Katharina che ancora dormiva placidamente, poi, cercando di fare meno rumore possibile mi misi a preparare la colazione. Quando li avevo fatti a Roma, Katharina li aveva apprezzati, quindi, visto che le piacevano, li avrei cucinati anche stavolta.

Feci le cose con calma e, quando impilai l'ultima frittella, era ormai l'ora di mettere in atto il mio piano.

Afferrai il cellulare che avevo abbandonato sul piano della cucina e, scrollando nella rubrica, feci partire la chiamata che avevo in mente.

«Pronto.» La voce calma e un po' annoiata del mio sottoposto non mi stupì, a quell'ora del mattino e con l'orario di lavoro appena iniziato, era normale avere una certa dose di svogliatezza.

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