48. Nikolai

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Il giorno dopo portò con sé un sapore di novità, che si era fatto sentire sin dal mattino, quando mi ero svegliato con Katharina che dormiva profondamente accanto a me.

La sveglia appena suonata non aveva turbato il suo sonno, come ogni volta che ero testimone di questo suo lato pigro, mi ero chiesto come facesse ad arrivare a lavoro in tempo. La risposta l'avevo avuta quando l'ormai abituale suoneria della Marcia Imperiale aveva sparso le sue note nella stanza e Katharina aveva reagito in maniera quasi fulminea, precipitandosi a spegnerla.

L'avevo osservata con una punta di divertimento mentre si stropicciava gli occhi e sbadigliava.

«Buongiorno.» Aveva mormorato guardandomi scegliere i vestiti per quel giorno con gli occhi ancora assonnati. Era ancora presto, ma dovevamo prepararci per andare al lavoro e avevo l'impressione che Katharina ci avrebbe messo eoni a prepararsi.

Il mio sospetto si rivelò fondato quando, dopo una colazione veloce, uscimmo di casa un quarto d'ora dopo il solito orario. Poco male, non saremmo comunque arrivati in ritardo, visto che arrivavo in ufficio con largo anticipo.

La svolta della sera prima, sembrava aver sollevato un peso dalle sue spalle, tanto che aveva passato la maggior parte del tempo trascorso in macchina a chiacchierare.

Mi ero aspettato che, una volta dentro l'edificio della Mayer Advertising Society, Katharina sarebbe tornata ad avere la solita aura di distacco e concentrazione che la caratterizzata, invece fece fatica a scrollarsi quella strana euforia di dosso. La capivo, la sentivo anche io e, come lei, ero preso dalla voglia di vedere come sarebbero cambiate le cose ora.

La giornata lavorativa passò in fretta. Nonostante i vari impegni, non potevo fare a meno di pensare alla notte precedente e a quanto fosse stato bello avere Katharina con me. Anche lei sembrava essere di buon umore, e ogni tanto ci scambiavamo sguardi complici tra una riunione e l'altra.

Quando finalmente arrivò l'ora di uscire dall'ufficio, Katharina, sorridendo, mi sorprese facendo scivolare una mano nella mia.

«Andiamo da mio padre? Credo voglia sapere la novità.» E alzò le nostre mani intrecciate per rafforzare il concetto. Assentii subito, sapevo quanto forte fosse il loro legame, era normale che volesse dargli subito la notizia, in effetti dovevo mettere al corrente anche la mia famiglia. Avrebbero fatto i salti di gioia, ne ero sicuro.

Adam ci accolse con un sorriso caloroso.

«Ciao papà.» Katharina lo abbracciò, e io lo salutai con un cenno del capo. «Ho una notizia da darti.»

Osservai Adam mentre Katharina lo metteva al corrente di tutti gli sviluppi della sera prima: era terribilmente emaciato, più di quanto me lo ricordassi. Forse era dovuto al fatto che non l'avevo visto per qualche giorno, e con la malattia che progrediva a velocità elevata doveva essere ancor più evidente.

Di quelle considerazioni però non esternai nulla, Katharina era già preoccupata per le condizioni del padre, la piccola ruga d'espressione che era sulla sua fronte parlava chiaro, e non le avrebbe giovato farle notare ciò che io stavo vedendo.

La convinzione di aver fatto bene a non dire nulla si sgretolò quando, guidando verso casa, occhieggiai Katharina, che sedeva in apparenza tranquilla sul sedile del passeggero. Si stava rigirando il filo delle cuffiette tra le dita e, nel farlo, mi lasciava intravedere la tensione che si sentiva addosso.

Forse anche lei aveva preso atto delle mie stesse cose, o forse ne aveva trovate altre che io non avevo visto. Decisi comunque di non chiederle nulla per ora, avrei rispettato il suo spazio personale, come sempre.

Il silenzio di Katharina si protrasse per tutto il tragitto, mi ero deciso a spezzarlo una volta che fossimo stati a casa sua, dove avrei potuto spingerla ad aprirsi senza che ci fosse nulla a interromperci.

Armonia di sogni e speranzeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora