Il cielo sopra di noi appariva minaccioso, quasi come se persino la natura fosse in lutto.
Era una di quelle giornate dove ogni cosa rifletteva l'umore di chi la viveva, era l'universo che riverberava lo stesso dolore che io non riuscivo a scacciare o manifestare.
Forse sarebbe stato meglio se avessi pianto o urlato, invece quello sfogo sembrava incastrato appena sopra lo stomaco e bruciava come se si stesse scavando una ferita sanguinante dentro di me.
Erano passati tre giorni da quando avevo ricevuto quella telefonata dall'ospedale.
Tre giorni che sembravano tre mesi, dilatati dal senso di vuoto che mi riempiva ogni volta che tentavo di fare i conti con la perdita.
Non c'era un manuale che spiegasse come affrontare la morte, né esisteva alcuna preparazione, così assistevo inerme al silenzio ineluttabile che mio padre aveva lasciato dietro di sé.
Sapevo che quel mio non manifestare tutto il dolore che provavo stava facendo preoccupare Nikolaus, ma non volevo crollare, avevo ancora bisogno di tenere insieme i pezzi, almeno finché il funerale non fosse finito.
Fissai l'officiante senza sentire le parole che stava pronunciando.
I funerali erano per i vivi, o almeno questo era quello che avevo sempre sentito dire, io, in quel momento, non riuscivo a metabolizzare niente di quanto pronunciato e avevo a malapena registrato la presenza di Jakob, Agneth e dei ragazzi.
L'unica presenza a cui mi stavo aggrappando mentre fissavo la bara chiusa su cui era appoggiato un cuscino di fiori era quella costante e silenziosa di Nikolaus. In quei tre giorni, da quando mi aveva accompagnato in ospedale, non mi aveva lasciato un istante e aveva fatto il possibile per levarmi il fardello che mi si era rovesciato addosso. Aveva avuto la prontezza di spirito di saper cosa fare, quando io non riuscivo nemmeno a mettere insieme un pensiero coerente. Anche ora, durante la cerimonia, continuava a starmi accanto, come un'ancora che mi teneva in qualche modo attaccata alla realtà.
Mio padre, conscio di quello a cui stava andando incontro e molto più pronto di me ad affrontare la morte a viso aperto, aveva pianificato tutto in anticipo. Faceva male sapere che, come al solito, non aveva voluto che mi preoccupassi e si era preso cura di me anche dopo la sua morte.
Lo aveva sempre fatto, in modi silenziosi e discreti, e questa era solo l'ultima di tante sue premure.
Aveva lasciato precise istruzioni su ogni dettaglio, dalla musica che doveva essere suonata alla lettura finale del prete. Per me non c'era stato molto altro da fare se non confermare tutto e presentarmi quel giorno.
Eppure, anche con ogni cosa già stabilita, l'atto di partecipare al funerale mi sembrava un gesto impossibile da compiere. Ogni parola del prete, ogni preghiera, ogni sussurro tra i presenti mi faceva sentire ancora più lontana da mio padre, come se con ogni fase della cerimonia lo stessi lasciando andare un po' di più.
E non volevo farlo.
Non ero pronta.
Respirai profondamente, cercando di calmarmi, sentivo le mani tremare leggermente. Le strinsi a pugno, cercando un po' di controllo su quel corpo che sembrava non voler collaborare con la mia mente. Sentivo le persone muoversi attorno a me, sentivo le loro parole, ma tutto sembrava ovattato, come se stessi vivendo una realtà separata dalla loro.
Il funerale fu sobrio, proprio come mio padre aveva voluto e, quando finì, i pochi presenti scemarono con lentezza verso l'uscita del cimitero, lasciando dietro di loro solo una fila di sedie vuote e un silenzio pesante. La bara era stata già coperta dalla terra, come una porta che si chiudeva definitivamente su tutto ciò che era stato.
Rimasi lì, immobile, a fissare quel pezzo di terreno che ora conteneva tutto ciò che restava di mio padre.
Nikolaus mi si avvicinò senza dire una parola, posando una mano leggera sulla mia spalla.
«Vuoi andare via?» Mi chiese con la sua solita delicatezza, quasi come se avesse paura di infrangere il fragile equilibrio di quel momento.
Annuii, ma non mi mossi subito. In quel momento, mentre cercavo di trovare la forza per allontanarmi, notai un volto tra i pochi ancora lì. All'inizio non ci feci caso, forse il mio cervello stava ancora elaborando tutto ciò che era successo, ma poi riconobbi la figura che si stava avvicinando on passo lento, misurato.
Il mio respiro si bloccò, e una morsa fredda mi strinse il petto.
Mia madre.
Non sapevo nemmeno come avesse saputo del funerale, in realtà non importava, ma averla lì, davanti a me e piena di salute, me la fece detestare un po' di più. Era un sentimento irrazionale e forse mi sarei sentita in colpa per quel che stavo provando, ma mia madre portava sempre con sé sentimenti negativi.
Perché è qui?
La domanda mi rimbombò in testa, senza però che potessi trovare una risposta. Da quando se ne era andata, non si era mai curata di noi, né di me né di mio padre. Era scomparsa dalla mia vita così tanto tempo fa che, se non fosse riapparsa di recente, mi sarebbe sembrato quasi di averla sognata.
Eppure, ora era lì. E stava camminando dritta verso di me.
Mi fermai, cercando di respirare con calma, il cuore però mi batteva all'impazzata. Nikolaus lo notò e si voltò, seguendo il mio sguardo. Capì subito chi fosse quella donna, ma non disse nulla. Rimase immobile al mio fianco, pronto a intervenire se fosse stato necessario, ma rispettoso del fatto che quello era un confronto che dovevo affrontare da sola.
Mia madre si fermò a pochi passi da me, il suo sguardo fisso sul mio. Non c'era traccia di emozione sul suo volto, nulla che potesse far pensare che fosse qui per il dolore o per il rimpianto. Era solo... presente.
«Tuo padre mi ha chiesto di darti questo.» Disse semplicemente, tendendomi una piccola scatola. Non più grande di un portagioie, la teneva tra le mani con una delicatezza che sembrava quasi fuori luogo.
Guardai la scatola senza muovermi.
Mio padre le aveva chiesto di consegnarmela? Ma perché? Perché proprio lei, che non faceva più parte della nostra vita da anni?
Una parte di me voleva rifiutarla, voleva girarsi e andarsene senza prendere nulla da lei, l'altra però, quella legata ancora a mio padre, mi fece allungare la mano e accettare quell'oggetto.
La presi, stringendola tra le mani, ma non la aprii.
Non lì.
Non davanti a lei.
«Non pensavo ti saresti presentata.» Mormorai con voce bassa, cercando di mantenere il controllo.
Lei abbassò appena lo sguardo, ma non c'era nessuna scusa, nessuna giustificazione nelle sue parole.
«Era comunque tuo padre.» Si limitò a dire, come se questo spiegasse tutto. La guardai, sentendo un'ondata di amarezza crescere dentro di me.
«Era mio padre, sì. Ma tu non c'eri. Non sei mai stata lì, per nessuno di noi.» La mia voce era fredda, ma c'era un tremito che cercavo di nascondere. Non volevo cedere davanti a lei.
Lei rimase in silenzio, lo sguardo distante, come se tutto questo non la riguardasse veramente.
«Non mi aspetto che tu capisca.» Pronunciò infine in tono apologetico.
«Non c'è niente da capire.» Replicai con freddezza che non sapevo nemmeno di possedere. «Non voglio avere nulla a che fare con te. Non sei più parte della mia vita, e non lo sarai mai più.»
La guardai voltarsi e andarsene, senza un saluto, senza una parola di addio, la scatolina ancora stretta tra le mie mani.
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Ho una notizia bellissima da darvi: ho finito la prima stesura🔥Quindi, come procediamo adesso? Semplice: si continua così fino all'epilogo, con un aggiornamento a settimana (e, se arriviamo a 5k, doppio aggiornamento), poi vi dirò cosa accadrà e i piani per il futuro😈
Prossimo appuntamento: sabato
Giorgia
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Armonia di sogni e speranze
ChickLitMAYER BROTHERS TRILOGY #1 Quando lo storico fondatore della Mayer Advertising Society va in pensione, per Katharina si apre un nuovo, turbolento, capitolo. L'incontro con il nuovo capo è disastroso, i due cominciano il loro rapporto lavorativo con u...