Capitolo 36

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Colpi di cannone. Tamburi che suonano. Sono ad una parata? Cerco invano di aprire gli occhi. Ce li ho ancora gli occhi? Ho ancora un corpo? Se riesco a fare un respiro vuol dire di sì. Basta provare. Devo solo inspirare, e poi espirare. Al mio tre ci provo. Uno. Due. Tre.

Sento qualcosa nel mio petto gonfiarsi e poi sgonfiarsi. Già il fatto che senta di averlo il petto è una buona cosa. Ora che ho accurato che sono viva, devo solo muovermi per tirare una padella in testa a quelli che stanno facendo questo rumore assordante. Non lo sanno che qui c'è qualcuno che è quasi morto?

Allora, facciamo un passo alla volta. Primo devo vedere se riesco a muovermi. Sento di avere le mani, devo solo riuscire a muovere il dito indice. Un piccolo movimento.

Sento lo scricchiolio di una foglia morta e i minuscoli pezzetti di quest'ultima scorrermi sotto la punta dell'indice.

Okay, fino a qui ci siamo. Però devo capire dove sono, e soprattutto cosa ci fanno dei tamburi in quella che, dalle foglie e dalla terra che sento sotto di me, penso sia una foresta. Quindi, devo aprire gli occhi. Dovrei averceli, se ho la testa con cui pensare dovrei avere anche gli occhi. Devo solo alzare un poco le palpebre.

Un lampo bianco mi acceca e richiudo immediatamente lo stretto spiraglio che avevo creato per riuscire a vedere qualcosa. Come per riflesso alzo le braccia per proteggermi e sento uno schiocco abbastanza sinistro prevenire dal mio gomito. Quando, dopo parecchio tempo, le macchioline bianche spariscono da davanti ai miei occhi, li riapro, con ancora lo scudo delle mani.

All'inizio vedo solo delle sfocate macchie gialle, rosse, nere e azzurre, che via via si delineano nelle mie mani, le foglie a terra, i tronchi degli alberi ed il cielo immenso e pulito. Ci metto un po' a riconoscere il luogo, ma quando lo faccio scatto in piedi più velocemente di quanto mi sarei creduta capace di fare. Altri schiocchi sinistri ed un dolore lancinante alla spina dorsale mi avvertono che non avrei dovuto farlo. Mi piego in avanti, respirando rumorosamente, accorgendomi di avere addosso solo una strana tunica grigia che sembra fumo in movimento.

Il punto è: perché indosso solo una tunica?

Pensa Katherine, concentrati, come hai fatto ad arrivare qui? Non ne ho idea. Stupendo. Allora, qual è l'ultima cosa che ricordo?

I colpi di cannone aumentano, si fanno più vicini, mi stanno sfondando il cranio.

Ricordo dei lampi bianchi, cascate rosse: sangue, ombre nere, cerchi d'oro. I miei occhi. Erano dorati.

Con un rantolo di dolore mi accascio a terra, tenendomi la testa. Mi sono trasformata. Cerbero ha chiamato i rinforzi. Siamo scappati. Sono svenuta su Thanatos.

Dov'è Thanatos? Sta bene?

Mi rialzo in tutta fretta, con una mano sulla tempia, cercando di fermare i cannoni che non sono altro che i colpi di un'emicrania da record. Mi guardo freneticamente intorno, ma vedo solo terra e alberi spogli.

Comincio a tremare. La tunica sferzata dal vento gelido dell'inverno. Provo a urlare il suo nome, ma la voce non esce. Ogni grido tentato è solo un dolore maggiore alla gola ruvida ed arida come sabbia del deserto. Provo ad inumidirmi le labbra, ma la saliva non basta neanche per ammorbidire quest'ammasso di pelle secca. Provo a fare qualche passo, constatando che la mia gamba ora sta bene. Tutte le mie ferite sono guarite, lasciandosi dietro solo il mal di testa.

Mi guardo di nuovo intorno, finché non vedo, poco lontano, un corvo nero che mi fissa. Più velocemente possibile mi dirigo verso di lui. Con tutte le forze rimaste provo a parlare di nuovo.

- Thana-tos. Ti... prego.

Ispiro rumorosamente, con le lacrime agli occhi. Ogni parola è come una piccola lama che mi trafigge la gola.

La Tredicesima Dea: l'Inizio di una MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora