Capitolo 6 L'avvocato del diavolo

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Cercare di dormire dopo la discussione con il preside non è stata una bella idea. Il che conferma la mia teoria secondo la quale una brutta giornata non può che finire peggio di come è cominciata.

E pensare che quella mattina mi ero detta che sarebbe stato un giorno favoloso.

Appena addormentata vengo catapultata in uno di quegli incubi così reali da farti dubitare di star sognando.

Sono seduta su una poltrona bianca in un ufficio moderno in stile black and white. La poltrona è vicina a una delle due finestre, che come al solito, si affacciano sull'adorabile paesaggio di una città in fiamme, con donne urlanti e in lacrime, bambini che scappano dalle macerie e uomini che cercano invano di essere coraggiosi di fronte alla morte. Insomma, il tipico paesaggio calmante su cui si affaccia un ufficio.

Dall'unica porta della stanza, entra un'uomo, con vestito gessato nero, mocassini di pelle grigio sabbia e cravatta della stessa tonalità. La faccia è quella che potrebbe avere un boia, viso quadrato ma scarno, occhi infossati e crudeli e labbra sottili. I capelli sono lunghi e crespi come fieno, di un grigio topo. Sembra l'avvocato del diavolo, anche se i greci non credono nel diavolo. Forse per loro è Ade... fantastico mio padre è il Satana greco, perché la cosa non mi sorprende affatto?

Lasciamo perdere i miei problemi familiari e torniamo all'uomo-avvocato-boia che si sta sedendo comodamente sulla poltrona davanti alla mia, guardandomi con il ghigno malvagio che è il suo marchio di fabbrica.

- Allora cara Katherine, come stai stanotte?

- Adesso male, cosa vuoi da me questa volta?

Accentua ancora di più il suo ghigno. Ho una voglia tremenda di toglierglielo dalla faccia a suon di pugni.

- Dritta al punto eh, cosa c'é? Un tuo caro amico non può semplicemente voler fare due chiacchiere con te?

Mi trattengono dal cercare di strozzarlo, l'ultima volta non è finita bene, per me.

- Tu non sei un mio amico, e dimmi anche perché ti ho visto nel braciere, il primo giorno alla D.O. Accademy.

- Ehi calmati.

Ride amaramente.

- Volevo solo vedere come avresti preso la notizia dei tuoi genitori, ti sei ripresa più in fretta che dall'incidente di Rebecca.

- Non osare pronunciare il suo nome!

Scatto in piedi e cerco di tirargli uno schiaffo, ma lui mi afferra il polso. Tutto intorno a me l'ufficio sparisce e mi ritrovo in uno dei momenti peggiori del mio passato, l'inizio della mia fine.

Sono seduta sul divanetto di un piccolo salotto, dalla finestra entra l'aria del mare. E' un posto incantevole, modesto ma elegante. Dalla cucina arriva la voce di Rebecca.

- Katherine cosa vuoi per merenda? Se vuoi ti faccio il mio speciale frullato alla fragola.

- Aspetta che vengo a darti una mano.

Mi alzo e passando vicino al tavolino di bambù arrivo in cucina. È una piccola stanza con fornelli, forno e frigorifero, lo stretto necessario per cucinare. Seduta al tavolo al centro della cucina c'è Rebecca, la mia migliore amica. Lunghi capelli marroni legati in una treccia laterale e viso dolce con occhi grigi. Sta indossando gli orecchini che gli ho regalato io, due piume verdi che si intonano alla sua carnagione perennemente abbronzata. Sta affettando delle fragole, non serve che io gli dia una risposta, sa che non rifiuterei mai il suo frullato alle fragole.

- Mi prendi il frullatore? E' sul terzo mobiletto a destra.

- Lo so.

Sorrido e mi alzo in punta di piedi per raggiungere il frullatore. Quando lo metto sul tavolo lei ha già preso tutto il necessario per la bevanda. Il risultato è gustoso e fresco, l'ideale per una giornata d'estate.

La Tredicesima Dea: l'Inizio di una MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora