Capitolo 27 Orgoglio e pregiudizio, senza il pregiudizio

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Ho le unghie rovinate. Dopo tutto quello che é successo lo smalto nero é completamente sparito. Mi serve una lima per unghie, ma non penso di poterla prendere adesso.

Sono seduta su una sedia, nell'ufficio di Max, e sono circondata dai professori. Il problema: sembrano piú campioni di body building che insegnanti. Piú li guardo piú mi sento scoraggiata, quindi in alternativa sto osservando ogni particolare della stanza. Il parquet di legno scuro é rovinato e strisciato, e i graffi formano un motivo piú chiaro che risalta e attira il mio sguardo. Non ha alcun senso, sono solo linee che si incrociano in modo casuale, ma é proprio questo che mi affascina. Perché tutto deve avere un senso? Perché non si può fare una cosa tanto per farla?

La porta si apre ed entra il preside. La cosa brutta é che sta solo accompagnando i due uomini dietro di lui: Ade e Thanatos, anche se l'ultimo non si può definire propriamente un uomo, visto che ha le sembianze di un diciottenne. Ma nonostante le sembianze giovani mi lancia uno sguardo di severità millenaria, una durezza accumulata nel tempo.

Fisso il tavolo accanto a me. Non voglio sentire il peso della loro disapprovazione, né voglio provare a sostenere il loro sguardo. Ma poi penso "che cavolo me ne frega? Tanto lo sapevano già che avrebbero avuto dei problemi con me, quindi chi dovrei rendere orgoglioso? La gatta che per giunta é anche scappata?".

Alzo lo sguardo e lo punto in quello di mio padre. Lo guardo fisso negli occhi, e lì intravedo, nascosto dal rimprovero e dalla rabbia, una punta di approvazione e forse, anche di orgoglio. Mi sento nauseata. Per quanto ne sa lui ho cercato di uccidere una ragazza innocente, ed é orgoglioso di me. Però mi viene un dubbio: e se fosse orgoglioso di me, non perché ho cercato di uccidere una persona, ma perché sono fuggita? Forse approva il fatto che abbia avuto il coraggio di ribellarmi, anche se questo non toglie il fatto che l'ho messo nei guai? Ma poi vedo il suo sguardo spostarsi famelico ed eccitato verso le mie armi poggiate sul tavolo, ed allora capisco che persona orrenda sia mio padre, e penso che forse non é tanto strano se sono diventata cosí se discendo da persone del genere.

Penso che se continuo a guardarlo vomiterò, quindi sposto lo sguardo su Thanatos, ed è peggio.

In lui non si vede alcuna emozione, non mi sta neanche guardando. Sta fissando un punto imprecisato accanto alla mia testa, così sembra che mi stia osservando quando solo io posso capire che non è così. Non gli importa niente di me. Mi ero illusa.

Sposto di nuovo lo sguardo, ma questa volta non guardo nessuno, osservo ostinatamente la parete di fronte a me, piena di quadri raffiguranti scene antiche di eroi e mostri, ma anche paesaggi o scene tranquille di persone che vivono la loro semplice vita. Immagino come sarebbe stato essere una di quelle persone. Vivere una vita senza problemi tranne quello di scegliere il vestito più adatto ad un primo appuntamento, quando il mio problema più grande, nella realtà, è fermare uno psicopatico che vuole far soffrire e distruggere dal terrore ogni persona che incontra, ed impedirgli di costringere altre persone ad uccidere come ho fatto io. Immagino come sarebbe stato continuare gli studi e diventare, che ne so, un medico forse, quando gli unici studi che posso continuare sono quelli per diventare una dea assetata di potere. O come sarebbe stato trovare il ragazzo perfetto e sposarmi con mia madre ad assillarmi perchè ho una piega sull'abito, con mio padre che mi accompagna all'altare e una sorella come damigella d'onore, anche se so che questo non sarà mai possibile perchè non ho due genitori normali e perché non ho una sorella, perché sono unica, anche in questo senso purtroppo.

Sento i professori intorno a me cominciare a parlare, non prima di essersi inchinati come dei lecchini pronti a pulire le scarpe a mio padre. Sento che parlano di me e che mi fanno delle domande, ma io sto zitta e continuo a fissare imperturbabile il quadro della ragazza sulla spiaggia, come se il mio sguardo ne fosse catturato. Alla fine rinunciano a provare a parlarmi e mi fanno uscire, ma prima di chiudere la porta del suo ufficio, ormai sgombro da professori e alunne psicopatiche, Max mi richiama e questa volta mi volto. Forse perché lui è l'unica persona in cui ho un minimo di fiducia qua dentro.

La Tredicesima Dea: l'Inizio di una MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora