- Quante volte ti ho detto di tenere alta quella spada? Non stai combattendo contro il pavimento!
Sbuffo sonoramente e mi levo una ciocca di capelli sudaticci che si è sfilata dalla coda.
Probabilmente mi sto allenando da un paio di ore e sono stanca morta, sudata, con i vestiti pieni di buchi e puzzo come un bradipo che ha appena corso una maratona con un piumino addosso e che sta cuocendo a fuoco lento nel forno.
- Non ci possiamo fermare? Solo per qualche minuto.
Non pensavo di potermi ridurre in modo tale da implorare così spudoratamente Ares.
- Non sarà fermandoti che imparerai a difenderti con la spada.
- Potrei imparare a difendermi usando arco e frecce. Almeno starei ferma.
Provo a ribattere, anche se inutilmente.
- Dovrò essere morto prima di insegnarti ad usare delle armi da codardi.
Alzo un sopracciglio, e anche questo mi costa un certo sforzo. Per non parlare del dolore alla mia povera gola secca che mi provoca parlare.
- Ma sono le armi di Apollo ed Artemide.
- Appunto. Mi rifiuto di insegnarti ad usare le armi di quella mammoletta del mio fratellastro.
Sono troppo stanca per rimanere confusa, quindi smetto di ponermi il problema e impiego tutta la mia forza per cercare di non concentrarmi sul dolore alle gambe.
Alla fine non ce la faccio più, e quando para un mio debole colpo cado a terra. Non cerco di rialzarsi, non cerco neanche di muovermi. Si sta così bene qui, stesa sul pavimento fresco della palestra, con tutti muscoli rilassati. Mi sembra di essere in paradiso. Rido sinceramente, una risata quasi isterica: il paradiso è tre chilometri a est da qui.
Ares mi guarda male, ma poi scrolla le spalle e sbuffa. Sa che dovrà uccidermi per farmi alzare. Ma visto che non può farlo si sdraia vicino a me, come quando abbiamo parlato di Thanatos l'ultima volta.
- Cosa ti sta succedendo? È passata poco più di un' ora e tu sei già stanca morta. Ti sei...come posso dire... rammollita negli ultimi tempi. Sembra che non ti importi più di niente.
Lo guardo con la coda dell'occhio.
- Forse è così, forse non mi importa di niente. Forse l'unica cosa che vorrei è addormentarmi e non svegliarmi più. Almeno non avrei più problemi.
Sbuffa e si mette seduto, così da potermi guardare dall'alto.
- Avresti ancora i tuoi problemi, solo che non li affronteresti. Scapperesti come una codarda, e tu non lo sei.
Lo guardo e forse per la prima volta mi accorgo di quanto sia vecchio. Ha più di tremila anni, durante la sua esistenza deve aver visto di tutto e deve aver provato di tutto, oppure no... lui non ha mai provato il brivido di morire, né cosa vuol dire vivere ogni giorno sapendo che potrebbe essere l'ultimo.
In effetti non lo so neanch'io, forse perché anche se mi sono detta tutte quelle volte che mi volevo uccidere non ci ho mai provato veramente, e non capisco il perché. Com'è possibile che io non capisca me stessa? Sono così complicata che nemmeno io so quale sia l'uscita del mio labirinto?
- Come sai che non sono codarda?
- Perché un coniglio sa riconoscere i suoi simili.
Rimango confusa per un po', poi capisco.
- Ma tu non sei un codardo!
Ha smesso di guardarmi, si è sdraiato di nuovo e adesso sta guardando il soffitto.
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La Tredicesima Dea: l'Inizio di una Morte
Fantasy|| IN REVISIONE || "Fidarsi di se stessi è il peggiore degli sbagli" Più di tremila anni sono passati dalla creazione di un nuovo dio. L'Olimpo arranca, cercando di rimanere in vita nonostante l'umanità oramai lo consideri una favola mitologica. I s...