Capitolo 11 La tigre che è in me

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Le giornate in infermeria passano in fretta, secondo il signor Richard non posso ancora riprendere le lezioni perchè non sto ancora abbastanza bene. Ma io ho capito che la discussione, tra i professori, dell'altro giorno era su di me. E so che non mi fanno riprendere le lezioni perchè vogliono ritardare quest'evento il più possibile, visto che sono "un pericolo per gli altri studenti".

Quindi mentre tutti sono impegnati, io passo le mattine da sola, sul letto morbido dell'infermeria, a rigirarmi la fialetta del mio sangue tra le mani. E' interessante come l'icore non si mescoli mai con il sangue normale, come l'olio con l'acqua. Come se fossero due cose che non possono coesistere unite. Non è certo stato facile, accettare la notizia che sono una dea. Ma le ore di solitudine mi hanno fatto metabolizzare la cosa. Più volte nel bagno, sono rimasta davanti allo specchio, per cercare qualche segno divino nel mio aspetto. Ma se dei capelli più arruffati del solito, delle spaventose occhiaie e delle labbra così screpolate da sanguinare non sono dei segni di divinità, e credo proprio che sia così, allora non c'è niente in me da far pensare che sono una dea.

Quando finalmente il signor Richard mi da il permesso di riprendere la vita normale, mi sento un'appestata. Non posso andare in un posto qualunque, senza che delle occhiataccie mi seguano. Perfino quelli che credevo amici, mi stanno evitando. Gli unici che mi rimangono ancora vicini sono Ely, Sabine e suo fratello Jan.

Chissà cosa farebbero tutti, se sapessero che sono una dea. Il preside Massimo, quando è venuto a trovarmi, mi ha detto che nessuno sa di questa cosa. E nessun'altro lo saprà fino alla decisione degli dei.

Da questa decisione infatti, dipende la mia vita. Mi sono fatta molte domande sugli dei: se esistono loro, esiste anche il Dio del cristianesimo, o gli dei indù? In che modo devono essere pregati? Come sono? Certo, ho incontrato Morfeo, ma era un sogno. Chi mi dice che nella realtà è così? Ma la domanda più importante, quella che continuo a farmi incessantemente, è una sola. Come saranno i miei genitori?

Mi hanno abbandonata quando avevo solo una settimana. Non ho mai avuto neanche una notizia di loro. Ma la rabbia non è maggiore della paura di averli delusi, con tutto quel che ho fatto come possono volermi come figlia?

Oramai è passata una settimana da quando mi hanno dimesso. In questo lasso di tempo non ho trovato nessuna risposta, ma dopo l'ennesima volta in cui i figli di Apollo mi hanno evitata, trovo il coraggio per andare a chiedere spiegazioni.

Sabine ha tentato di fermarmi, ma dopo tutto quello che ho passato merito di avere delle risposte. Soprattutto da Peter.

Il dormitorio di Apollo è l'unica stanza, oltre al dormitorio di Artemide e di Zeus, ad essere al primo piano e non al piano terra.

La porta è ricoperta d'oro con un sole al centro, come simbolo di Apollo.

Busso piano, ma quando sento che nessuno mi risponde, comincio letteralmente a prendere a pugni la porta, che si apre con uno scatto violento. Sulla soglia c'è un Alex arrabbiato e stupito.

- Cosa ci fai qui?

Sta quasi sussurrando. Non mi fermo a dargli spiegazioni. Entro, scostandolo, nel grande open space.

La prima cosa che noto sono le grandi vetrate come pareti e soffitto. Il salotto è tutto bianco con rifinimenti dorati. La parete dietro di me, l'unica di pietra, è decorata da quadri e strumenti musicali. Al lato del salotto, acostata alla vetrata, c'è una scrivania piena di fogli. All'altro lato invece si trova un pianoforte, John è lì seduto, con le mani ancora sui tasti e uno spartito davanti a se. Mi guarda allibito, con un ciuffo bruno che gli ricade sulla fronte. Égrazie ai capelli che riesco a riconoscere i due gemelli. John li porta più lunghi, mentre Alex li tira sempre su col gel, avendoceli più corti. Ma non presto molta attenzione all'arredamento.

La Tredicesima Dea: l'Inizio di una MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora