Capitolo 13 Eroi caduti

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Salgo l'ultimo gradino della lunga scalinata, in terra e pietra, del tunnel. Le ultime luci del tramonto, illuminano di un rosso cupo i mausolei di pietra. Faccio un altro passo avanti. Sento un nuovo odore, che si aggiunge in modo alquanto sgradevole, all'aroma dolciastro che avevo sentito sulle scale. Mi avvicino al primo mausoleo. Qui l'odore è più forte, sa di marcio e di muffa. È il tipico odore che ti fa venire l'impulso di tapparti il naso, correre via, e annusare un'intera boccetta di profumo. Vedo anche una targa, corrosa dal tempo. Mi sto chinando per leggerla, quando uno scricchiolio sinistro mi fa girare. Ma non c'è niente di sospetto, o almeno niente che io riesca a vedere.

Noto però, che il cimitero è circondato da pareti di siepe. Tra il fitto verde, si riescono a vedere delle scontillanti rose, sembrano nere ma guardando meglio percepisco una nota di rosso sangue. Il colore originale è oscurato dal buio, derivato dal sole scomparso all'orizzonte. Poco più in là, rispetto al buco sul terreno da cui sono uscita, c'è un podio su cui è sistemato un braciere di pietra e una teca di vetro. Sotto la teca è posato un libro, rilegato in pelle nera, con il titolo in oro. Quest'ultimo sembra scritto in una lingua antica, simile al greco, ma più runica. Sollevo la teca dall'altare e la poso a terra. Apro il libro, sfogliando le pagine guardo attentamente le illustrazioni in polvere di rubino e smeraldo sulla carta antica. Le parole sono scritte sempre in quella strana lingua, per me incomprensibile. Cerco di comprendere attraverso le immagini, ma sono solo ricorrenti teschi e scheletri che camminano. Più qualche disegno dell'apocalisse, con la terra coperta di fuoco o distrutta da un terremoto.

- Non le serve studiare le antiche formule. La sua sola presenza ci ha risvegliato, signora.

Alzo lo sguardo. Un urlo mi si blocca in gola. Cerco di indietreggiare, ma inciampo su un sasso e cado a terra. Mi alzo sui gomiti, stordita, e una mano si tende verso di me. La pelle diafana lascia intravedere le ossa della mano, come una veste semitrasparente. Nascondendo l'orrore provocato dalla mano, la afferro, e resto stupita di constatare che è solida e sicura come la mano di qualsiasi uomo. Senza alcuno sforzo da parte mia, mi alza in piedi come se pesassi meno di un piccolo peluche.

- Le porgo le mie scuse signora.

Abbassa il capo, e sono sollevata che il teschio sia coperto dai capelli, marroni e abbastanza lunghi per un maschio.

- Non hai niente per cui scusarti. Ma se non sono offensiva, posso chiederti cosa sei di preciso?

Mi sorride, ed ad un tratto sembra meno semitrasparente. Così riesco a vedere più chiaramente i muscoli possenti delle braccia, e il pettorale di bronzo. Le gambe atletiche sono coperte solo da un corto gonnellino nero, come vuole la classica armatura greca. Ai piedi porta bassi sandali e un pugnale nel fodero. Quest' ultimo è legato ad una cintura di cuoio. I suoi occhi sono due orbite vuote, guardarli mi fa sentire come se stessi cadendo nel vuoto.

- Io sono Odisseo, discendente di Ermes ed Eolo, eroe greco, re di Itaca e ideatore del cavallo di Troia.

- È uno scherzo?

Non sono riuscita a trattenermi, questo non può essere Odisseo. Non può essere l'eroe che ha passato vent'anni in mare, prima di poter tornare a Itaca. Non può essere il protagonista dell'Odissea. Quell'Odisseo o Ulisse comunque si voglia chiamare, è morto più di duemila anni fa, tremila forse!

- Perchè mai dovrei voler scherzare sulla mia identità? Io sono Odisseo.

- Odisseo è morto. Molto, ma proprio molto tempo fa.

- Le sembro forse vivo?

Lo guardo meglio. Le ossa che si intravedono sotto la pelle, le orbite vuote.

- Sei un fantasma?

Odisseo ride. È una risata strana, come il suono di due sassi che si scontrano ripetutamente. Bassa e penetrante.

La Tredicesima Dea: l'Inizio di una MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora