Non so come, mi ritrovo fuori dal portone d'ingresso del palazzo. Ma non mi fermo, continuo a correre senza pensare a dove sto andando. Voglio solo sfogarmi, e capire. Cercare di mettere in ordine il caos che mi trasforma la testa in un frullatore, perché i miei pensieri adesso sono un frullato di emozioni, domande e affermazioni. Non so nemmeno perché sto correndo. Mi fermo di botto. Che senso ha continuare a perdere energia?
Mi guardo un po' intorno. Devo essere vicina ai campi della pena, perché sento odore di sangue, sudore e zolfo. Infatti a pochi metri di distanza da me si innalza la recinzione di filo spinato, mine e mattoni di cemento armato che ne delimitano tutto il perimetro, come la copia più moderna e militare del muro di Berlino.
Mi chino sulle ginocchia, ho il fiatone.
- Pensavo avessi una resistenza maggiore.
Scatto in piedi. Mi volto, ma non c'è nessuno. Continuo a girare su me stessa in cerca della persona che ha parlato. Alla fine, giungo alla conclusione che sia stata la mia immaginazione l'artefice della voce.
- E anche una vista migliore. Non mi vedi? Sono qui.
No, non è stata la mia immaginazione. Mi volto di nuovo, e questa volta, affilando lo sguardo, vedo una figura indistinta oltre la recinzione dei campi della pena. Mi avvicino un po'. Riesco quasi a vederla bene adesso. Anche se i bordi sono sfocati e i colori mescolati tra loro. Anche la figura si avvicina a me. Adesso riesco perfettamente a vedergli il volto. E quel che vedo non mi piace.
- Sai, non mi è piaciuto per niente il tuo atteggiamento negli ultimi tempi. Ti preferivo quando pensavi solo a te stessa.
Arretro di qualche passo, ma lui si avvicina. Quando arriva alla recinzione mi sento salva. So che nessuno può scappare dai campi della pena. Ma a quanto pare mi sbaglio. Scavalca la recinzione come se fosse un misero muretto. E quando atterra mi trovo a sperare che le sue apparenti gracili ossa di rompano sotto l'impatto. Ma sono, appunto, apparentemente gracili, perché atterra composto e sicuro come il campione olimpico di salto con l'asta.
- Io penso ancora a me stessa. Se no non sarei qui.
Scuote la mano in segno di noncuranza, poi torna a fissarmi con quei gelidi occhi. Quei gelidi occhi dorati. Non mi ero mai soffermata sul loro colore. Mi sale un dubbio.
- Perché sei qui, Stalky? Come fai ad essere qui?
Comincia a ridere, e capisco che lui non sembra l'avvocato del diavolo, lui è il diavolo. Il peccatore per eccellenza. Il re della sofferenza e del dolore.
- Speravo che me lo chiedessi. Oramai ci conosciamo da tanto tempo, ed è ora che tu smetta di chiamarmi Stalky, ma che razza di nome è? Io sono Phoibos, la paura.
Mi scappa una risata. Il concetto in se non fa ridere, ma come lo ha detto lui, sembra che sia la personificazione della paura dei bambini, quella del mostro sotto al letto.
- Trovi che sia divertente? Io non riderei se fossi in te. Ti informo che sei nel mio territorio.
- Ti sbagli. Questo è il territorio di Ade.
Mi fa una smorfia compiaciuta. Probabilmente voleva fare un sorriso ma il risultato è più un misto di dolore e odio.
- I campi della pena sono mio territorio dalla fine della prima guerra mondiale. Ade mi ha concesso il potere di torturare le anime dei dannati. Quindi questo è il MIO territorio.
Sembra alquanto arrabbiato. Ci tiene a veder riconosciuto quel che è suo. Anche se non è così. Cominciano a venirmi i brividi, che percorrono la lunghezza della spina dorsale con un lieve tremore. Una parte del mio cervello in preda alla paura mi dice di scappare, e io cerco di fare il possibile perché questa parte non contagi le altre.
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La Tredicesima Dea: l'Inizio di una Morte
Fantasy|| IN REVISIONE || "Fidarsi di se stessi è il peggiore degli sbagli" Più di tremila anni sono passati dalla creazione di un nuovo dio. L'Olimpo arranca, cercando di rimanere in vita nonostante l'umanità oramai lo consideri una favola mitologica. I s...