Capitolo 22 - Scusami

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Leila non sapeva che fare o cosa pensare: la sua vita era stata sconvolta in poche settimane da una famiglia che si era trovata "casualmente" sul suo cammino. Anche se lei non credeva nel destino o buffonate simili, sapeva che non era stata una casualità. Sbuffando, entrò in casa e, per l'ennesima volta, si rese conto dell'assenza della nonna, così la rossa decise di controllare se ci fosse un biglietto attaccato al frigorifero o alla credenza. Nulla. Tuttavia una busta cerulea attirò la sua attenzione. Era stata posizionata al centro del tavolo di legno e chiusa accuratamente. Sopra vi era scritto il suo nome, così l'aprì. La calligrafia era indubbiamente quella di sua nonna.

Cara Leila,

Scusa se non ti ho avvisato prima, ma ho avuto poco preavviso anch'io. Sono dovuta partire urgentemente, ma non temere: tornerò tra cinque giorni. Sei una ragazza in gamba ma non mi fido a lasciarti da sola a casa, così ho chiesto a Meryl Thompson se avrebbe potuto ospitarti e ha accettato volentieri. Inoltre, potresti allenare meglio i tuoi poteri, dato che sei già a casa loro. Mi auguro tu capisca e faccia la cosa giusta.

-La tua nonna

Un pugno nello stomaco avrebbe fatto meno male: cinque lunghissimi giorni a casa Thompson? Si prospettava l'apocalisse. Non parlava con Cloe da ieri e l'aveva deliberatamente ignorata; Dylan era più imprevedibile di un ornitorinco con gli stivali a razzo; per non parlare di Abner: l'avrebbe massacrata in questi giorni. Preparò le valigie con calma, giusto per guadagnare tempo, dirigendosi poi verso quello che sarebbe stato il suo personale inferno.

Suonò il campanello e dopo tre minuti la porta venne aperta. Una montagna di riccioli le si presentò davanti e le saltò addosso: <<Leila!>> urlò il bimbo, raggiante.

<<Ciao Kenneth. Come stai?>> rispose lei, felice del fatto che almeno qualcuno in quella famiglia non avesse cambiato opinione su di lei.

<<Alla grande! Ora che ci sei tu va ancora meglio>> La rossa si rendeva conto del fatto che era solo un bambino, ma quel complimento, così spontaneo, la fece arrossire. Un istante dopo sopraggiunse Dylan.

<<Oh, sei qui! Starai in camera di Cloe e tra cinque minuti ci vediamo in soggiorno per l'allenamento>> la informò freddamente.

<<Ehi Dylan! Non saluti Leila come si deve?>> chiese Kenneth in tono accusatorio. Resasi conto dell'umore del ragazzo, Leila si affrettò ad aggiungere: <<No, no, piccolo. Non ce n'è bisogno, davvero>> ma Dylan si era già avvicinato e si sporse verso di lei per lasciarle un leggero bacio sulla guancia. <<Scusami>> le sussurrò, per poi sparire dietro una porta. La ragazza era sempre più confusa: perché si era scusato?

<<Tuo fratello è proprio strano>> mormorò la rossa, facendo sospirare Kenneth.

<<Che vuoi che ti dica? Lo devo tenere così>> disse il ricciolino con fare teatrale, cosa che fece scappare una risatina a Leila. Salì le scale, aspettandosi di vedere Cloe, ma così non fu. Ridiscese la rampa e trovò Dylan ad aspettarla. Era appoggiato al muro con le braccia conserte e lo sguardo perso nel vuoto. Gli occhi però erano sempre vigili e attenti, con quella scintilla che li caratterizzava. L'ultimo gradino scricchiolò, attirando l'attenzione del ragazzo su di lei.

<<Bene, vieni con me>> le ordinò. La giovane si fermò di colpo.

<<No>> disse secca.

<<Come?>> Dylan sembrava sorpreso.

<<Prima mi dici che hai. Un attimo sembra tu voglia uccidermi, l'attimo dopo fai il carino e mi dici frasi senza senso: sto impazzendo>> sbottò lei, alzando inaspettatamente la voce. Lui si fece più vicino e la fissò con sguardo penetrante, facendola indietreggiare e scontrare col muro subito dietro di lei. Il ragazzo mise le mani ai lati della testa della rossa, dopo averle spostato una ciocca di capelli dietro l'orecchio sinistro.

<<Scusami, davvero. Quando potrò, ti spiegherò ogni cosa, ma voglio che tu lo sappia: non ti ferirei mai di proposito>> fece una pausa <<Ti fidi di me?>> chiese lentamente lui. Lei annuì e una strana sensazione di vuoto la assalì quando lui si staccò dal muro per riprendere a camminare. Dylan aprì una porta poco più distante e la fece entrare, non prima di averle sussurrato nell'orecchio con un ghigno: <<Benvenuta all'allenamento, rossa>>

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