Malia non si era portata quasi nulla con sé. O almeno, nulla di così importante da portarsi dietro in quella impresa così rischiosa e approdata nella mente della diciannovenne in un momento di piena ira e sdegno.
E chi aveva generato tutto quel sentimento? Theo. Il punto stava nel fatto che lui aveva detto come stavano le cose, ma lei continuava a ribadirsi che non era così, e che doveva andarsene.
Aveva così iniziato a sistemare meticolosamente la sua abitazione e aveva messo nel letto tutto ciò di cui aveva bisogno: ovvero, niente.
Era pronta ad andarsene. Non sapeva come avrebbe superato la sicurezza, come sarebbe tornata a casa, lontana kilometri e kilometri da dove si trovava lei. Sentiva solo il forte istinto di libertà, di ribellione e di paura.Avrebbe agito quella sera stessa.
Intanto dobbiamo cercare di uscire dalla casa.
Spense tutte le luci dell'abitazione, poi uscì di casa con cautela; chiuse il portone di casa a chiave e lanciò il mazzo su una delle piantine che decoravano il pianerottolo del suo piano.
Era davvero tardi e non c'erano luci ad illuminare il corridoio,ma lei non ebbe problemi: era stata abituata a stare al buio fin da piccola, siccome da bambina era solita uscire di casa e mettersi in giardino per poter contemplare il cielo stellato estivo.
Scese velocemente la rampa di scale, sperando con tutto il cuore che nessuno fosse sveglio e nessuno la sentisse; finalmente arrivò al piano terra. Si girò istintivamente verso una porta, con il numero '28'. Nella casa condivisa abitavano con lei altre quattro persone e, proprio dietro la porta 28, si trovava Lydia.
Non sapeva perché né come, ma la ragazza dai lunghi capelli rossi e notabili le sarebbe mancata in un modo o nell'altro.E probabilmente anche Theo, anche se non vuoi ammetterlo.
Sbuffò, scacciando via pensieri poco adatti a quel momento. Spinse la porta della casa e uscì all'aperto, e una brezza leggera le spostò tutti i capelli da un verso solo. Sospirò sconsolata e cercò di sistemarsi il meglio possibile. Si diede della stupida: non le doveva interessare se sembrava una pazza, dopotutto stava scappando da una clinica.
E questo ti rende ancora più malata.
Si diede uno schiaffo in pieno volto e iniziò il suo lungo percorso verso la via delle abitazioni: era sassosa, e intorno a se aveva tutte case buie. Iniziò a domandarsi se la dentro le persone stessero davvero dormendo; se stessero dormendo bene; se il loro trauma, invece, era così forte da tenerli svegli per ore. Per giorni interi.
Come era successo a lei.
Continuò a camminare, accelerando man mano il passo, con il timore costante che qualcuno dalla finestra la vedesse e la scoprisse, e la rimandasse indietro.
Finalmente la strada della case finì, e per passare oltre era costretta a dover entrare per il centro, e uscire per dove era entrata la prima volta.
Aveva un'altra possibilità: farsi tutto un giro da dietro tortuoso e lungo, ma più sicuro. Avrebbe dovuto attraversare metà radura per poter passare davanti all'entrata del centro e scappare così per i cancelli, ed essere libera.Prese un profondo respiro e iniziò a passare per dei cespugli, dietro alle file di alberi - dove era solita andare e passare del tempo con Theo. Questo pensiero la fece arrestare per qualche attimo e guardarsi attorno. No. Doveva andare avanti - e iniziò a seguire un sentierino molto zigzaggato e pieno di terra e erbaccia. Per fortuna aveva addosso delle scarpe logore e che odiava, non avrebbe sopportato l'idea di sprecare delle scarpe nelle.
Perché sì, dentro di sé sperava di essere fermata. Ci sperava così tanto che spesso durante il tragitto si girava e si guardava dietro. Ma non c'era. O meglio... nessuno.
Sapeva di essere terribilmente contraddittoria e in lotta con sé stessa, ma non poteva farci niente.
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257 Days Before.
Fanfiction«Non esiste cosa peggiore della morte, se non quella di vivere con i sensi di colpa.» Quella frase gliela aveva detta Theo, in un periodo in cui si trattavano ancora civilmente e forse si volevano bene nel limite del possibile. E quella frase l'avr...