chapter twenty-seven.

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179 giorni prima;

Malia era infuriata e nessuno sapeva perchè; in realtá, solo a prima vista lo sembrava: le rare volte in cui era uscita dalla sua affezionata abitazione camminava a passo svelto e tirava occhiate brusche a ciascun essere vivente le si parasse davanti.
Ma non era infuiriata; quello era solo uno strato superficiale della sua aura. In realtá era frastornata, confusa; o meglio, delusa.
Le parole le vorticavano in mente come una sorta di buco nero: alcuni sprazzi di quella conversazione non li aveva sentiti, ma aveva sentito abbastanza per capire.

«Le ho mentito abbastanza; perchè pensi io sia così tranquillo? Non potrei stare qui sotto il suo sguardo schifato.»

Malia ribolliva di rabbia. Theo non aveva fatto altro che prenderla per il culo tutto il tempo, in sostanza.

«Sul serio credevi di cavartela, Theo?» Persino Nathan pareva scazzato.
«Con Malia è fin troppo facile; è troppo lei.»

Strinse un astuccio tra le mani rigide e lo lanciò contro il muro, urlando. Non riusciva ancora a capire perchè; aveva accettato un sacco di spiegazioni evasive del ragazzo, aveva superato un sacco di comportamenti ambigui... perdonandolo.

Poi la sua testa cominciò ad ingranare; stava iniziando a capire, forse, un sacco di Theo.
Atteggiamenti ambigui, strani, freddi, impulsivi; un sacco di risposte scazzate, date di fretta, date in modo evasivo; e soprattutto, pensava all'ultima botta: dopo il compleanno della Martin, l'aveva totalmente cancellata dall'esistenza, poi era ritornato più sano che mai.
Certo - si mise a ridere - dovrei aspettarmelo! pensò; siamo in una clinica per matti, nessuno sta a posto con la testa.
Cercava di darsi una scusante per il fatto che stava malissimo. Era quasi più grave che stesse così male al tradimento di Theo, che del tradimento stesso.
È che ci teneva troppo a Theo, ecco.
Si sedette di nuovo nel letto disfatto e si buttò sotto le coperte, le mani strette ai bordi e la testa nascosta tra i cuscini morbidi.

«Dovrei essermene andato da qui molto tempo fa, giá a settembre. Chissene importa se non stavo ancora bene? Meglio che incontrarla.»

«È stato uno strazio vivere fino ad ora e lei mi ha rovinato ancora di più.»

Malia soffoccò un altro urlo, si rialzò ancora e si mise a sistemare la sua camera, cercando di fare qualcosa che le prendesse tempo.
Ma la sua testa rimbombava in un continuo Theo, Theo bastardo, Theo, Theo, Theo.

«Theo si sente in colpa.» Disse un certo punto, dando voce ai suoi pensieri rumorosi.
«Dopo il compleanno di Lydia è stato fin troppo strano e non voleva proprio rivolgermi lo sguardo. Sicuramente si sente così in colpa per avermi detto cazzate su cazzate e non avermi mai spiegato la veritá. Quella testa... e ha sempre preteso di sapere cosa mi è capitato.» Si sedette sul letto, poi andò in cucina, un continuo vorticare per la piccola casa e muovere nevroticamente le dita tremanti.
«Oh, non sa con chi ha a che fare, quel Reaken!» Era decisamente infuriata, piena di energie per prendere a pugni e calci quel maschio idiota. Ma lo voleva davvero?

«Lo vado a prendere a calci in culo, quel traditore. Si è pure infilato nel mio letto per notti, pezzo di maniaco!» Uscì di corsa da casa, scese le scale a due a due - rischiando più volte di inciampare - e si imbattè nel freddo gelo di metá novembre, un mese che stava iniziando ad odiare profondamente.

La sua meta era Theo Reaken, rifugiato chissá dove.
Ma cambiò totalmente idea non appena, all'entrata della clinica, intravide la familiare chioma rossa.

«Hey, Lydia!» Forzò un sorriso, la prese sottobraccio e la portò di sopra, dicendole che voleva parlare.
«Hey, mi vuoi dire che ti prende?» Disse lei, spaventata, vedendola fuori di sè.
«Direi che è ora di dirmi certe cose.» La guardò in un modo quasi triste, forse delusa pure da lei. O aspettandosi qualcosa.
«Sei una grande amica di Theo e direi che sia molto di più, forse lo conosci meglio di te stesso. So che mi ha mentito; so che probabilmente anche cose che mi ha detto sono bugie.» E, egoisticamente, era quello che le premeva di più: il fatto che le belle paroline che le aveva detto fossero fesserie.

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