chapter twelve.

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227 giorni prima;

Malia non si era mai sentita così in ansia prima d'allora. Certo, all'inizio era preoccupata per ciò che le avrebbero fatto, ma non aveva sentito la vera ansia.

Forse perché prima d'allora non le era importato davvero ciò che le era successo. O meglio, non le importava come stava davvero dentro. Ma dopo aver avuto le conferme, dopo aver capito di stare male davvero, e aver saputo che sua madre lo aveva saputo dalla dottoressa, voleva fare il possibile per rimediare... E andarsene al più presto di lì. Le mancava terribilmente la sua famiglia e i suoi amici.

Quando varcò la soglia del suo studio, la donna le indicò la solita poltroncina girevole e lei si sedette, accavallando le gambe e picchiettando le esili dita sui braccioli della sedia.

«Bene, cara. Dopo un mese pieno qui, è ora che tu cominci a collaborare. » Il suo tono risultò molto duro, ma i suoi occhi esprimevano tutt'altro.
«Ormai so che non vai più alle terapie di gruppo. E Phoebe non ha alcun diritto né alcuna voglia di poterti urlare dietro e seguirti. Era una tua scelta. Ma ora abbiamo capito la gravità della situazione, vero, Malia?» Lei annuì semplicemente.

La donna la guardò intensamente per alcuni attimi, poi si sedette più comodamente sulla poltroncina e prese un quadernetto.

«Dimmi tutto, Malia.» Alla ragazza venne un groppo in gola. Doveva raccontare ciò che le era successo? Di nuovo? Non ne aveva alcuna intenzione. Sapeva di non potercela fare.
Come se le avesse letto nella mente, la dottoressa la tranquillizzò: «Voglio che tu mi racconti dei tuoi sogni.»
I muscoli di lei si rilassarono leggermente, perché aveva comunque paura di raccontare. Aveva paura che, se avesse parlato, tutte quelle orribili sensazioni le sarebbero tornate e sarebbe impazzita. Ma non aveva scelta. Doveva aiutare se stessa. Doveva farlo per sua madre, soprattutto.

Okay, parla e basta. Veloce, non pensarci tanto, così non ti fai prendere dal panico.

Fece un respiro profondo e iniziò, e la dottoressa impugnò la penna per poter scrivere.

«Lo sogno quasi ogni notte. Lui... mi fa del male. A volte mi trovo nella mia stanza da sola, a casa mia, sono tranquilla e a volte aspetto pure che lui torni. Poi, quando vado ad aprirgli, lui... Mi fa del me. È orribile, è una sensazione...» Deglutì con forza, e si permette d'istinto le mani sulla gola, come se davvero qualcuno la stesse soffocando e lei doveva liberarsi. O sarebbe morta.
Chiuse gli occhi e le vennero alla mente un sacco di immagini.

Lui che le accarezzava il viso.
Lui che le sorrideva alla porta, con un mazzo di fiori in mano.
Lui che le diceva che era bellissima.
Lui che lanciava un vaso per terra.
Lui che la sbatteva contro il muro.
Lui che la insultava.
Lui che stringeva le mano attorno al suo collo e la strozzava, con lo guardo che godeva a vederla star male.
E poi tante altre cose strazianti.

Malia boccheggiò, come se fosse rimersa dall'acqua dopo essere rimasta senza respirare per tanto tempo. Guardò la donna, che teneva una mano sulla sua e la guardava preoccupata.

«Malia.» La richiamò. Non seppe mai se lo fece per dirle che poteva fermarsi, o che doveva andare avanti.
Lei andò avanti.

«È dopo un paio di mesi che.. È successo, che ho iniziato a fare brutti sogni, ogni volta con lui che mi faceva del male. Ma all'inizio nemmeno me li ricordavo. Mi svegliavo in mezzo alla notte tutta spaventata e urlando. A volte mia madre se ne accorgeva, altre volte no, e io non mi addormentavo più. Avevo una grande angoscia dentro...» Si fermò. Teoricamente aveva solo parlato ma ricordare tutto ciò che la faceva star male le toglieva le energie.

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